Andata e ritorno
-Ricordi felici-
Le ultime luci del giorno iniziavano lentamente a svanire: le tonalità di rosso, rosa e arancione di un ormai morente tramonto rischiaravano con la loro dolcezza e intensità le verdi distese di prati d’erba che frusciava fra il delicato venticello serale, gli alberi ancora spogli sui quali iniziavano a crescere timidamente le prime gemme, i piccoli ruscelli che attraversavano, con il loro calmo e pacato scroscio, le colline ricoperte di teneri germogli.
Le nuvole soffici e lievi volteggiavano con armonia in un cielo sereno e il sole scompariva lento dietro lontane montagne, ancora innevate e avvolte da un sottile velo di nebbia: un chiaro tramonto primaverile ancora legato al gelo dell’inverno. La primavera era alle porte e tutti ne aspettavano con impazienza l’arrivo.
Nimir se ne stava tranquillamente sdraiato sotto i rami spogli di un imponente albero: il vento leggero gli scompigliava dolcemente i riccioli castani, la tenue luce degli ultimi raggi del sole illuminava il suo viso, delineandone il profilo, sul quale era disegnata un’espressione calma e pacifica, le guance rosee gli coloravano vivamente il volto e i suoi vivaci occhi azzurri erano persi nell’ammirazione del meraviglioso paesaggio che infondeva pace e gioia fin nel profondo del cuore a chiunque lo osservasse, la camicia bianca che indossava era di una stoffa leggera e sottile e sfiorava il bordo dei pantaloni color marrone che lasciavano scoperti le gambe ed i piedi dello hobbit.
Gli abitanti della piccola città di Galabas si accingevano a far ritorno dai campi, dopo una faticosa giornata di lavoro, e rincasare finalmente accolti da un caldo focolare e da visi amici. Era l’ora più lieta del giorno.
Il silenzio che avvolgeva lo hobbit fu rotto dalle grida della piccola Elanor, che correndo velocemente attraverso i prati verdi e i piccoli fiumiciattoli scroscianti lo raggiunse fin nell’alta collina, ormai scura sotto il cielo serale: i riccioli biondi mossi dal vento nella sua impetuosa corsa, i grandi e azzurri occhi vispi nei quali splendeva una viva luce, le guance rosse per la fatica ed il respiro affannoso, il suo grazioso vestito rosa sventolava ad ogni movimento. Si avvicinò a lui dicendo:
“Cosa ci fai ancora qui, Nimir! E’ da mezz’ora che ti cerco! Il sole sta per tramontare e tu dovresti essere a casa ad aiutare mamma e papà a preparare la cena! Sei sempre il solito, non cambierai mai… Comunque ora sbrigati ad alzarti da lì e torniamo a casa, mamma e papà ci staranno sicuramente aspettando”.
Nimir si affrettò ad alzarsi, anche se riluttante a lasciare quel posto così tranquillo e solitario, e si incamminò insieme alla sorella verso casa. I due fratelli erano molto uniti: Elanor si sentiva protetta al pensiero di avere un fratello così buono e dolce che la accontentava in qualsiasi cosa chiedesse; Nimir le era molto affezionato e le voleva un gran bene perché sapeva sempre come dimostrare il suo affetto, come un bacio inaspettato o un abbraccio improvviso.
Quando essi arrivarono a casa furono accolti dai sorrisi amorevoli dei loro genitori e da un fantastico odorino di coniglio al ragù ed erbe aromatiche, il tutto accompagnato da patate, spinaci e una grandissima varietà di altre squisitezze.
Inaspettatamente trovarono seduti a tavola anche Bof e Tobi, i migliori amici di Nimir, che erano stati invitati, insieme alle loro famiglie Tapuk e Luthur, ad insaputa dei due.
“Salve Nimir” iniziò Bof: uno allegro hobbit senza peli sulla lingua, dai capelli castani e ricci e dagli occhi dello stesso colore che indossava una camicia bianca, un gilet beige e dei pantaloni che gli arrivavano appena sotto le ginocchia lasciando le gambe ed i grandi piedi pelosi scoperti.
“In ritardo come sempre, a quanto vedo…” disse Tobi, un giovane abilissimo nel canto e considerato divertentissimo in ogni angolo della città, con capelli biondi e occhi azzurri, vestito allo stesso modo di Bof, afferrando voracemente una coscia di coniglio “Non credi sarebbe ora di imparare l’educazione e presentarsi puntuale all’ora di cena? Non è carino far aspettare degli ospiti!” concluse il dispettoso hobbit.
Nimir li apprezzava immensamente per la loro amicizia e sincerità che gli trasmettevano anche quando lo prendevano in giro per le cose che gli venivano continuamente in testa; ma riuscivano sempre ad ascoltarlo e comprenderlo senza mai chiedere nulla in cambio, soltanto che il loro affetto fosse ricambiato e la loro amicizia apprezzata, e Nimir non li aveva mai delusi.
Quando tutti furono seduti a tavola, dopo molti convenevoli, iniziarono a cenare, tra l’allegria e l’ilarità generale, e la serata passò felicemente, come accade quando dei parenti lontani si incontrano dopo tanto tempo.
Quando poi tutti stavano per alzarsi da tavola, sazi in abbondanza, dopo aver finito le pietanze preparate con cura dai padroni di casa, sentirono bussare alla porta: non si era ancora fatto del tutto buio e molta gente continuava a popolare le larghe strade e i sentieri rocciosi creando una dolce atmosfera. Nessuno sembrava intenzionato ad aprire la porta, così Elanor si avvicinò all’uscio e lo spalancò: davanti a loro comparve l’esile figura di Bralda Barabli, la figlia del proprietario della locanda “L’ululo del lupo”, una cara ragazza che conoscevano sin da quando era una bambina.
“Salve a tutti. Scusate il disturbo, ma sono venuta a restituirle il suo grembiule, signora Nilme” cominciò la ragazza con entusiasmo “Oggi deve averlo dimenticato mentre preparava una delle sue squisite torte con mia madre”.
“Oh, grazie Bralda! Non so proprio come avrei fatto senza di te!” le rispose la madre di Nimir “In ogni modo non ci disturbi affatto, anzi entra pure e resta almeno un po’ in nostra compagnia!”.
La ragazza fu benevolmente accolta; questa aveva da sempre colpito Nimir: i suoi lunghi capelli biondi e morbidi come la seta, i suoi incantevoli occhi azzurri, i suoi dolci e aggraziati movimenti e i suoi luminosi sorrisi facevano di lei una ragazza stupenda. Purtroppo lo hobbit era sincero e trasparente tanto che tutti conoscevano i sentimenti che provava per lei.
Così, appena ella mise piede in casa, Nimir arrossì talmente che Bof e Tobi scoppiarono in una clamorosa risata che presto coinvolse tutti i presenti, compresa Bralda. Tuttavia la giovane hobbit non ne era infastidita, anzi non le dispiaceva affatto…
Piacere a Bralda era sempre stato uno dei sogni di Nimir, ma quello cui teneva di più era intraprendere un viaggio alla scoperta di nuovi luoghi, nuovi popoli e nuove esperienze e vivere meravigliose avventure costellate di pericoli e ostacoli da superare fidandosi dei propri amici.
Come sarebbe stato bello se questo sogno si fosse avverato… Tuttavia la vita di Nimir continuava serenamente: lo hobbit poteva andare in giro per la Contea quando voleva stando con i suoi amici, combinando guai qua e là mantenendo sempre il suo buon umore, non si perdeva mai d’animo e conservava sempre la sua allegria.
Quando si fece tardi e arrivò la notte Bralda e tutti gli altri amici dovettero tornare a casa loro: Bof e Tobi salutarono ridendo e scherzando pieni di allegria, ma essendosi fatto molto tardi, Nimir decise di accompagnare la giovane hobbit fino a casa per non lasciarla andare da sola.
“Ti sei divertita in nostra compagnia?”chiese il giovane hobbit sulla via.
“Si, è stato molto piacevole; spero che accada più spesso!”rispose dolcemente Bralda.
Entrambi sembravano imbarazzati a causa della presenza dell’altro e si lanciavano occhiate fuggenti senza mai incontrarsi con gli occhi, ma quando gli sguardi si incrociavano allora i due voltavano il viso dall’altra parte arrossendo.
“Nimir…”cominciò Bralda timidamente “Mi fa piacere che tu abbia accettato di accompagnarmi fino a casa …Ti ringrazio!”. Lo hobbit si voltò incuriosito. “Mi trovo sempre a mio agio quando sono con te…” concluse lei con un sorriso. Nimir rimase stupito da quelle parole e per la prima volta i due riuscirono a guardarsi senza cedere l’uno allo sguardo dell’altro e, immersi com’erano in quella strana atmosfera, non si accorsero di essere arrivati a destinazione.
“Be, siamo arrivati. Allora… ciao, ci vediamo presto!” disse un po’ tristemente Nimir.
“Si, a presto” e dicendo ciò Bralda si avvicinò allo hobbit e lo baciò delicatamente sulla guancia; dopodiché corse fino alla porta ed entrò in casa.
Nimir restò per qualche momento immobile davanti al piccolo uscio aspettando che il suo cuore riprendesse a battere regolarmente, e dopo pochi attimi riuscì nuovamente a respirare così da muovere qualche passo in direzione di casa sua, scoppiando di felicità nel cuore tanto da aver voglia di cominciare a saltellare per il piccolo sentiero e gridare a squarciagola per esprimere al mondo intero i suoi sentimenti.
Era una notte splendida: il cielo era costellato da una miriade di stelle, uno spicchio di Luna rischiarava fiocamente la via con la sua tenue luce argentea che impreziosiva ogni cosa, le nuvole incorniciavano il firmamento immerso nell’oscurità della notte, una fresca brezza notturna faceva frusciare le poche foglie avvizzite che ancora erano sugli alberi e quelle che invece iniziavano a nascere, in lontananza i monti remoti e apparentemente irraggiungibili mostravano le loro vette innevate come punte di lance d’argento e tutto il mondo sembrava pronto ad immergersi in un sonno profondo che soltanto l’alba avrebbe potuto destare.
“Buongiorno a tutti! Ah, che magnifica giornata!”disse Nimir al suo risveglio la mattina seguente, affacciandosi alla finestra della sua stanza, con un grande sorriso sulle labbra.
Il sole era già alto in cielo, la sua luce illuminava la piccola ma confortevole cucina nella quale la famiglia era riunita per fare colazione: la tavola era piena di mille leccornie, come di consueto per una famiglia hobbit, e tutti vi erano seduti attorno chiacchierando tra loro.
Si annunciava una splendida giornata. In un attimo Nimir terminò il pasto e si precipitò fuori della piccola casa esclamando allegramente:
“Io vado a casa di Bof! Presto arriverà anche Tobi! Ci vediamo più tardi!”
“Sta attento a non cacciarti nei guai, e non tardare per l’ora di pranzo, mi raccomando!” rispose ad alta voce la madre, seguita a ruota dalla piccola Elanor che aggiunse sbuffando:
“E’ inutile, non sarà mai puntuale per l’ora di pranzo e a me toccherà andarlo a cercare per tutta la città!”.
Nimir nel frattempo si era precipitato a casa dell’amico correndo velocemente attraverso verdi colline e chiari ruscelli, respirando l’aria pura che la primavera aveva portato con sé: i fiori si preparavano a sbocciare mostrando a tutti i loro nuovi colori, gli alberi si riempivano di verdi foglie che brillavano alle luce del sole, i piccoli cespugli frusciavano al passaggio dello hobbit e il cielo era sereno e privo di nuvole.
Presto Nimir arrivò a destinazione e ad accoglierlo fu l’amico Bof indaffarato nella cura del giardino davanti casa. Teneva in mano una piccola piantina ancora piena di boccioli che non si decidevano a fiorire ed era completamente ricoperto di terriccio dalla testa ai piedi.
“Che cosa stai combinando Bof?”iniziò Nimir sorridendo nel guardare la faccia sporca dello hobbit “Datti una ripulita, è impossibile guardarti in faccia senza cominciare a ridere! Cosa credi che ne penserà Tobi?” disse con entusiasmo, illuminato dalla luce del sole che lo abbagliava andandogli sul viso.
“Non ne ho ancora avuto il tempo! E’ dall’alba che non faccio altro che trapiantare radici e strappare erbacce: era ora che qualcuno lo facesse e ho deciso di occuparmene io, mi piace curare il giardino…”rispose Bof sorridendo, alzandosi da terra e facendo qualche passo verso l’amico rimasto in piedi ad osservarlo.
“Cosa ti è successo Nimir, oggi sembri più felice del solito… Non sarà che ieri sera è accaduto qualcosa tra te e Bralda?”chiese lo hobbit con malizia.
L’altro per tutta risposta arrossì e rese chiaro ciò che era accaduto; Bof conosceva molto bene Nimir e comprese subito i fatti, dopotutto tra loro non c’era mai stato bisogno di tante parole per capirsi fino in fondo…
Il silenzio che per un attimo aveva avvolto i due amici si ruppe quando arrivò correndo Tobi, gridando a squarciagola e ridendo come se fosse stato inseguito da qualcosa che lo divertiva ma di cui allo stesso tempo aveva paura.
All’improvviso apparvero dietro di lui i cani del fattore Khilic: aveva sicuramente rotto di nuovo la banderuola della sua fattoria e lui lo aveva sempre minacciato di farlo inseguire dai suoi cani se avesse continuato. Tobi era proprio incorreggibile e adesso stava subendo le conseguenze delle sue azioni spropositate.
“Nimir, Bof aiutatemi!”gridava Tobi nell’impetuosa corsa.
“Non posso scappare da questi maledetti cagnacci in eterno! E stavolta non era nemmeno mia intenzione rompere quella banderuola, è stato un incidente!”continuò, ma la sua voce era superata dall’abbaiare dei quattro cani alle sue calcagna che stavano ormai per raggiungerlo.
Lo hobbit fece appena in tempo ad arrampicarsi su un albero quando le quattro bestie erano quasi riuscite ad acciuffarlo. Tuttavia i cani non si decidevano ad andarsene e Tobi fu costretto a rimanere sull’albero finché, improvvisamente, venne fuori da un cespuglio Nin, il figlio del fattore Khilic, che con un leggero fischio chiamò a sé i quattro cani: essi, subito, scomparvero tornando indietro verso il piccolo boschetto dal quale erano venuti. Dopodiché Tobi scese velocemente giù dall’albero e si avvicinò al piccolo hobbit dicendo:
“Grazie mille! Non so proprio come avrei fatto a sfuggire a quei cani senza il tuo aiuto!”
“Non c’è alcun bisogno di ringraziarmi…”disse Nin schivo. “Ma sta attento perché la prossima volta potrei non essere così buono con te! E allora dovrai fidarti solo di quei due laggiù che continuano a ridere…”concluse il bambino.
Subito Nin si allontanò tornando a casa e Tobi tornò dai suoi amici ancora stanco per la fatica.
“Che corsa! Voi due avreste almeno potuto cercare di fermare quelle bestiacce!”disse Tobi con il respiro affannoso.
“E perché? Era uno spettacolo così divertente!”rispose Bof sorridendo.
“Già! Se ti fossi visto sarebbe piaciuto sicuramente anche a te! Noi non abbiamo avuto la forza di fermarli!”e Nimir seguì a ruota Bof nella sua contagiosa risata, mentre lo hobbit abbassava lo sguardo a terra sconsolato.
“Non ci trovo niente da ridere! Quei cagnacci stavano per sbranarmi! Se non fosse arrivato Nin non so come avrei fatto a cavarmela…”continuò Tobi ripreso fiato.
“Già, è stato davvero gentile, ma non si può fare proprio niente per quel suo caratteraccio? E’ soltanto un bambino eppure parla già come un adulto…E’ davvero strano!”disse Nimir pensieroso.
“Be, non credo che ci sia una soluzione per questo…” ribattè Bof. “Piuttosto che ne dite di andare alla locanda? E’ molto tempo che non ci andiamo e inoltre potremmo riposarci bevendo un buon boccale di birra!”
Così tutti loro, allettati dall’idea di una fresca bevanda, si diressero alla locanda “L’ululo del lupo” dove li attendeva un grande boccale della migliore birra di malto che fosse prodotta nel Decumano Sud ed inoltre ad accoglierli ci sarebbero state di sicuro Bralda e le sue sorelle, Rosie e Angie, con le quali avevano stretto una profonda amicizia.
Appena entrarono dalla grande porta di legno facendo tintinnare il campanello che vi era appeso, le tre ragazze si voltarono verso di loro e sui loro visi comparve un sorriso: Rosie era una ragazza sveglia e vivace, perennemente allegra; aveva due grandi occhi verdi che brillavano sul suo volto come smeraldi, capelli castani che le arrivavano appena alle spalle e le sue guance erano rosee, indossava una veste azzurra, che le arrivava appena sopra le ginocchia, con sopra un grembiule del medesimo colore ed una cuffietta che le cingeva il capo. Angie, al contrario, era timida e riservata e si confidava soltanto con le persone che conosceva bene; i suoi occhi erano castani e scuri, i suoi capelli biondi e lunghi, raccolti in una coda con un grazioso nastro rosa, la sua carnagione chiara come latte, ella indossava una lunga veste con sopra un altrettanto lungo grembiule bianco.
Tutte e tre erano indaffarate nella cura della locanda: Bralda lavava un’alta pila di piatti, Angie spazzava per terra canticchiando una filastrocca e Rosie si occupava di togliere la polvere da tutti i tavoli presenti nella sala.
“Salve a tutti!” salutò per prima Rosie “Era da un po’ di tempo che non ci vedevamo! Siete i benvenuti!”.
“Gradite della birra?” chiese Angie capendo subito il motivo per cui i quattro compagni erano venuti lì.
“Ci hai tolto le parole di bocca Angie!” affermò Bof.
“Arrivano immediatamente!”e Bralda si precipitò in cucina a prendere quattro boccali e versandovi della fresca birra di malto dorata.
Quando tornò nella sala posò le bevande sul tavolo dove gli hobbit si erano seduti.
“Ecco a voi, spero che siano di vostro gradimento!”esclamò la giovane hobbit.
“Lo saranno di sicuro…Bralda!”rispose Nimir guardandola negli occhi e arrossendo come lei.
Tobi se ne stava ad osservare i due hobbit sorseggiando della birra dal boccale, quando, voltandosi, si accorse che Angie, al contrario delle sue sorelle, era rimasta in disparte, seduta ad un tavolo nell’angolo, immersa nei suoi pensieri: egli rimase a fissarla con i suoi grandi occhi verdi per un po’ e dopo poco le rivolse la parola dicendo incuriosito:
“Come mai te ne stai lì in disparte Angie? E’ successo qualcosa?”
“Come? No niente, solo ho sentito dire che dopo tanto tempo è ritornato qui in città Nimruzir, quello strano mago che di
tanto in tanto veniva nella Contea per far visita ad Izindubeth, lo zio di Nimir: uno stregone con una folta barba grigia, dei lunghi capelli dello stesso colore e due occhi chiari che possono scrutare fin nel profondo della mente di ogni persona, questo si dice in giro del suo aspetto.
Nessuno ha mai saputo il perché delle sue visite, e adesso vorrei sapere perché è ritornato” e la ragazza si rivolse a Nimir “ Nimir sta attento, il suo ritorno potrebbe aver a che fare anche con te…”concluse la giovane hobbit con una nota di preoccupazione sul viso.
“Mio zio sembrava avere una fiducia cieca nei confronti di quello stregone, ma io non ne ho mai capito il motivo…Con me era sempre gentile ed io lo consideravo come un membro della famiglia. Ero molto piccolo quando Nimruzir veniva assiduamente nella Contea, ma ricordo che, dopo la sua ultima visita, mio zio Izindubeth decise di abbandonare Galabas e andare a vivere con gli Elfi nelle terre dell’Ovest, non sono mai riuscito a scoprire il perché della sua partenza, ma credo che sia collegata a quel mago… Ci sono troppe domande senza una risposta, è arrivato il momento di fare luce su questi misteriosi fatti!”ribattè Nimir.
“Questa storia mi ha sempre incuriosito… Potrei anche aiutarti…”disse Tobi.
“Be, mentirei se vi dicessi che anch’io sono d’accordo con voi; dopotutto secondo me non dovremmo occuparci di faccende che non ci riguardano. Perché dovremmo rischiare di finire in guai grossi solo per soddisfare la nostra curiosità?! Insomma questo Nimruzir è un potente mago, a quanto ho capito, e non penso che sarebbe il caso di schierarci contro qualcuno che sappiamo per certo essere molto più forte di noi, non credete?”e Bof espresse la sua opinione anche se discordante con quelle degli altri suoi compagni.
“Non è che hai soltanto un’enorme fifa Bof? Sai, non ti facevo così pauroso!”e Tobi scoppiò in una risata.
“Non è affatto vero ciò che dici! Non ho affatto paura! E’ solo che non me la sento di impicciarmi in fatti che non mi riguardano personalmente ecco tutto… Io non voglio impedirvi di fare ciò che avete in mente, anche perché testardi come siete, sarebbe inutile, ma voglio solo dirvi che non sarò dalla vostra parte se deciderete di compiere questa pazzia” concluse lo hobbit.
“Se non lo vorrai nessuno ti obbligherà a stare dalla nostra parte Bof, ma il tuo sostegno ci sarebbe stato utile…Sei sicuro di non volerci aiutare?”chiese Nimir cercando di persuadere l’amico con parole dolci e, a quanto pare, il suo metodo ebbe effetto, perché subito Bof rispose:
“Be, tutto sommato potrei anche collaborare con voi, se insistete tanto… Ma sono sempre convinto che non sia una buona idea…”.
Tutti iniziarono a ridere allegramente e, nonostante l’ombra del passato posasse gli occhi su di loro, festeggiarono il loro incontro noncuranti delle conseguenze che avrebbero potuto avere le loro azioni avventate; dietro l’uscio della locanda, in ascolto di ogni singola parola, era rimasto Nimruzir, il mago di cui tutti parlavano e da cui tutti erano incuriositi, già pensieroso su ciò che presto sarebbe accaduto.
Anche per lui era arrivato il momento delle spiegazioni e Nimir era cresciuto abbastanza per poter sapere ogni cosa sul passato di suo zio Izindubeth e sulle sue origini.
Questo è solo il primo capitolo...se vi piace posto anche il resto!!!
Fatemelo saxe!!!
Bye bye!!!