Anni Sessanta moda dei ciclomotori

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ariadipoesia
00venerdì 5 novembre 2004 23:23
Negli anni Sessanta il mercato dei ciclomotori è la vera forza trainante dell’industria italiana a due ruote.

Per necessità o per divertimento, il cinquantino diventa nel giro di pochi anni uno dei grandi protagonisti della società conoscendo un successo straordinario.

Le vendite vanno a gonfie vele, così si sente la necessità di esplorare nuovi segmenti, di ampliare l’utenza conquistandola con proposte anche originali e innovative.

Uno dei fenomeni che accompagna gli ultimi anni Sessanta è rappresentato dai motorini a ruote piccole (da 8 o da 10 pollici) che reinventano il classico concetto del ciclomotore.


Nascono così modelli interessanti, in genere di prezzo abbordabile, a volte fantasiosi, che comunque piacciono anche ai genitori che li vedono più pratici e meno pericolosi in mano ai propri figli.


Nel 1967 infatti la Benelli presenta il Mini Bike. “Nato da un’idea americana” (parole riprese da un depliant dell’epoca) è un insolito ciclomotore da 50 cc caratterizzato da misure estremamente ridotte (1 metro e 35 centimetri di lunghezza, 52,5 kg di peso, ruote da 10 pollici “ciccione”), dal cambio a 3 marce a manopola e dalla linea a dir poco originale. L’immagine è simpatica, la praticità a tutta prova, le dimensioni così compact che lo si può riporre un po’ ovunque, anche in automobile.:Smotoc1:

Nel 1969 questo ciclomotore guadagna il cambio a pedale a 4 rapporti. Vi è però un’altra novità degna di nota: dal 1971 al 1973 nel listino Benelli/MotoBi è presente una variante ancor più simpatica di questa motoretta in miniatura: è il Mini Cross.
Dotato di ruote più “aggressive”, piastra paracolpi per riparare il motore nei possibili contatti in fuoristrada e doppia corona posteriore per accorciare i rapporti nel caso si vogliano affrontare le salite più impegnative.



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Alla metà degli anni Sessanta quando la Honda CB450 si affaccia sul mercato motociclistico mondiale il monopolio delle moto di grossa cilindrata è nettamente in mano all’industria inglese. I giapponesi si sono per ora limitati a costruire motociclette di cilindrata ridotta. L’arrivo di una cilindrata medio/grossa “made in Japan” mette quindi senz’altro sull’avviso che un’era sta per concludersi. Fin dal marzo 1965 qualche esemplare aveva incominciato a circolare negli Stati Uniti affidato a dei collaudatori. La moto, inizialmente chiamata dalla Honda con il soprannome di Condor, aveva impressionato più d’uno. In effetti, almeno sulla carta, le caratteristiche dell’uragano la nuova Honda CB450 le ha davvero tutte: bicilindrica 4 tempi doppio albero a camme in testa, 43 CV ad 8.300 giri, 180 km/h di velocità massima, 100 m con partenza da fermo in 5” e 3 decimi, quarto di miglio in poco più di 13”.


La sfida delle Case giapponesi ai produttori europei era già stata lanciata quando Alejandro de Tomaso, nel 1971 neo proprietario di Benelli e un anno dopo di Moto Guzzi, presentò l’arma del rilancio. La Benelli 750 Sei a sei cilindri fece scalpore e risvegliò l’interesse, anche a livello internazionale, intorno al marchio di Pesaro ed all’industria motociclistica italiana in generale.
A sorprendere fu anche la velocità con cui dalle parole si passò ai fatti. La nuova moto venne realizzata in meno di un anno, fu presentata a fine ottobre del 1972 e nella primavera del 1973 la fabbrica era pronta per la produzione. Tempi particolarmente stretti rispetto a quelli tipici dell’industria italiana abituata a ponderare ogni singola scelta. Per Benelli poi si trattava dell’ingresso nel segmento delle maxi moto pluricilindriche.



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