“ Vide il mio genio e tacque ”
Ma io non taccio e il mio gnomico genio neppure
Continuo a giocare con le dita dell’amore,
deformate
di falangi ritratte per strizzarmi panni smessi
Le taglie della stasi non fanno piu’ per me
e anche le mie quattro stagioni
si rifiutano di adottarli, ancora in fasce.
Ma volevo cullarmi un sogno d’impazienza
cantandogli, nel crescere, quel rigo:
rigagnolo di bolle stese all’aria
e continuo’ a… tacque.
Un testo che fa da eco ad un in incipit di tutto rispetto.
L'autore, dichiara con enfatica convinzione di non voler tacere le verità e implicitamente, di non essere al servizio del "servo encomio"; perché per quanto
gnomico sia il
genio,non ci si può permettere di legarsi le dita per non giocare con le parole e metterle a servizio delle verità soggettive e interpretative della realtà.
Nella seconda e nella terza strofa, amplifica come in una cassa armonica ben costruita, la genesi di quella convinzione.
Nata dall'esigenza di confronti maturi?
Molto bella la scelta di lasciare in sospeso il verso nella chiusa.
Un modo intelligente di chiudere un cerchio vizioso prodotto da quel "tacque" che chiude l'incipit di riferimento.