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la ballata (il trionfo di Bacco e di Arianna)

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    ariadipoesia
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    00 12/10/2004 08:59
    Uno dei tipi più noti di musica popolare è la ballata: la canzone che, in una successione di strofe, narra una storia centrata su un unico evento principale.

    Varie d'ispirazione e di forma sono le Ballate di Lorenzo il Magnifico (1449-1492), serie e scherzose, con metri lunghi e metri brevi. Delle ballate serie alcune, che prescelgono il grave endecasillabo, s'accostano alla poesia del Canzoniere: influenza petrarchesca e stilnovistica, bisticci galanti, giochi cerebrali. Ma vi senti pure l'influenza del Poliziano e della melodia popolare: se il contenuto è il solito, convenzionale, soliti lamenti e preghiere, e la forma pur essa vaga e manierata, la stilizzazione è resa sopportabile dalla molle musicalità. Nei metri brevi alla melodia polizianesca succede il dinamismo ritmico laurenziano, e la vivace scorrevolezza dei settenari e degli ottonari favorisce rapide illuminazioni.


    Nelle ballate scherzose poi ritroviamo il poeta della Nencia da Barberino, della Caccia col Falcone, dei Beoni (con la sua capacità realistica) l'arte della macchietta, della scena, del bozzetto: situazioni colte e fissate, ove il comico è nel fatto in sé, nella vita che parla.

    E insieme una leggerezza di mano, dovuta al metro, maggiore che nei poemi.

    L'ispirazione è, naturalmente, epicurea: varianti intorno al vecchio tema del "Carpe diem" e del "Cogliam la rosa" intonato qui con maliziosa letizia. Ricordiamo l'"Ars Amandi" in due ballate, la XXVII e la XXVIII, dove una madre dà consigli alla figlia e questa narra come li abbia messi in pratica (poesia tutta cose, un susseguirsi di quadri), e le "Sette Allegrezze", ove in un certo realismo descrittivo si inserisce una compiacenza sensuale, alleggerita dall'ironia.


    Di molte ballate è dubbia l'attribuzione fra il Magnifico e il Poliziano: in genere al primo si devono quelle più realistiche, al secondo quelle discorsive e ricche di locuzioni popolari. Forse del Magnifico sono pure la maggior parte di quelle a doppio senso osceno, come nei Canti Carnascialeschi.

    Lorenzo de' Medici (1449-1492) perfezionò quest'uso, inaugurando i carri allegorici durati fino all'età nostra e componendo egli stesso le parole di questo nuovo genere di canzone a ballo, il canto carnascialesco. Si ebbero così mascherate di professioni, di divinità pagane, di antichi eroi, di personaggi simbolici.
    Artisticamente i Canti carnascialeschi del Medici hanno caratteristiche simili alle Ballate scherzose. Metri brevi, settenari e ottonari, vivaci e scorrevoli, ritmo dinamico, rapide e leggere figurazioni, macchiette, bozzetti. Ma la ricerca del doppio senso uccide per lo più la poesia. Certi canti sono però magistralmente impostati, con movenze garbate, fluidità di verso, spontaneità d'immagini: quello dei "Galanti di Valenza", la "Canzone dei sette pianeti", ove l'invito d'amore trova toni più caldi che per il consueto, e soprattutto la "Canzone delle Cicale", agile, mossa, spigliata nel dialogo, un vero cicaleccio. Uno solo si leva sopra gli altri, il capolavoro di Lorenzo, il Trionfo di Bacco e Arianna con quel "Quant'è bella giovinezza - che si fugge tuttavia" rimasto grido simbolico di un'epoca. L'importanza dei Canti non è solo artistica: giustamente la tradizione li assunse a simbolo di un'epoca.

    Qui la personalità del Magnifico scompare, quasi il popolo stesso abbia composto queste poesie che non si possono immaginare se non cantate da un coro festoso: ebbrezza di gioventù, di letizia, di amore, che fu il sentimento dominante della Firenze quattrocentesca.

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    Trionfo di Bacco e Arianna

    Quant'è bella giovinezza,
    che si fugge tuttavia!
    chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Quest'è Bacco e Arianna,
    belli, e l'un dell'altro ardenti:
    perché 'l tempo fugge e inganna,
    sempre insieme stan contenti.
    Queste ninfe e altre genti
    sono allegre tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Questi lieti satiretti,
    delle ninfe innamorati,
    per caverne e per boschetti
    han lor posto cento agguati;
    or da Bacco riscaldati
    ballon, salton tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Queste ninfe anche hanno caro
    da loro esser ingannate:
    non può fare a Amor riparo,
    se son gente rozze e ingrate:
    ora insieme mescolate
    suonon, canton tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Questa soma, che vien drieto
    sopra l'asino, è Sileno:
    così vecchio è ebbro e lieto
    già di carne e d'anni pieno;
    se non può star ritto, almeno
    ride e gode tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Mida vien drieto a costoro:
    ciò che tocca, oro diventa.
    E che giova aver tesoro,
    s'altri poi non si contenta?
    Che dolcezza vuoi che senta
    chi ha sete tuttavia?
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Ciascun apra ben gli orecchi,
    di doman nessun si paschi;
    oggi sian, giovani e vecchi,
    lieti ognun femmine e maschi;
    Ogni tristo pensier caschi:
    facciam festa tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.


    Donne e giovinetti amanti,
    viva Bacco e viva Amore!
    Ciascun suoni, balli e canti!
    Arda di dolcezza il core!
    Non fatica, non dolore!
    Ciò ch'ha a esser, convien sia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c'è certezza.

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