00 19/10/2004 17:12
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera d’Ottavio.
OTTAVIO al tavolino, ELEONORA, FLORINDO, ROSAURA e LELIO, tutti a sedere.


OTT. Signori miei, la nostra nuova accademia si va a gran passi avanzando, e spero sarà ella fra poco annoverata fra le primarie d’Europa, e darà motivo d’invidia e d’emulazione alle più rinomate. Voi mi avete onorato del titolo di principe dell’accademia, ed io non mancherò con tutto il possibile zelo di contribuire all’avanzamento di essa. Signor Florindo, ecco la vostra patente.
FLOR. Accetto l’onore che voi mi fate, ammettendomi alla vostra accademia. Procurerò di contribuire all’avanzamento di essa, ma però con quella moderazione, che non abbia a rendere pregiudizio a’ miei interessi domestici.
OTT. Quando mai la poesia può essere di pregiudizio?
FLOR. Ogni volta che per attendere ad essa si ruba il tempo dovuto alla carica, al ministero, all’economia della casa, alla educazione de’ figliuoli.
OTT. Io trovo sempre bene impiegate l’ore, quando sono a conversar colle Muse. Che dite, signor Lelio?
LEL. Anch’io verseggio assai volentieri, e quando l’estro mi chiama, lascerei tutto per formare un capitolo.
FLOR. Signor Lelio, voi siete un bravo poeta, ma perdonatemi, siete un poco pungente.
LEL. In oggi, chi non critica, non reca piacere.
FLOR. Criticare, ma non satirizzare.
LEL. La critica e la satira sono sorelle.
FLOR. Sì, ma una è legittima, e l’altra è bastarda.
LEL. I legittimi e i bastardi si confondono facilmente.
FLOR. Orsù, non voglio stuzzicarvi. Riflettete che i satirici la finiscono male.
ROS. Signor padre, avete voi instituita un’accademia di lettere, o di pazzie?
OTT. Figlia mia, nelle accademie vi è per lo più un poco dell’uno, e un poco dell’altro.
FLOR. (A me basta vi sia Rosaura: se arrivo a conseguirla, anco dalla poesia ricaverò il mio profitto). (da sé)
OTT. Signor Florindo, favorite di leggere la vostra patente, e dite se vi pare ben concepita.
FLOR. Vi servo subito. (apre, e legge) Noi Alcanto Carinio, principe dei Novelli, detto il Sollecito.
LEL. Voi dunque siete Alcanto Carinio? (ad Ottavio)
OTT. Sì signore, per l’appunto.
LEL. Ed io che nome avrò?
OTT. Lo saprete a suo tempo.
ELEON. Dovreste mettergli nome Mattusio. (ad Ottavio)
LEL. E a voi converrebbe il nome di...
OTT. Il nome ognuno l’averà. Signor Florindo, tirate avanti.
FLOR. Colla presente patente nostra abbiamo dichiarato accademico dei Novelli il saggio, erudito, prudente giovine, il signor Florindo Aretusi. Troppa bontà.
ROS. Giustizia al merito.
FLOR. Dichiarandolo accademico nostro dei Novelli, e uno dei fondatori dell’accademia nostra, al quale è toccato in sorte il nome di Breviano Bilio, denominato il Patetico. Ammettendolo a tutti quegli onori e prerogative, delle quali è stata l’accademia nostra insignita.
OTT. Che ne dite? Va bene?
FLOR. In quanto a me, va benissimo.
OTT. Signor Lelio, ecco la vostra.
LEL. Che nome mi avete dato?
OTT. Quello che a sorte dall’urna è uscito.
LEL. Vediamo. Ovano Pazzio.
ELEON. Bello, bello! Ovano vien dagli ovi e Pazzio dalla pazzia.
LEL. Non vedo l’ora di sentire il vostro.
OTT. Ecco, signora Eleonora, la vostra patente.
ELEON. Ora leggerò il nome, che mi è toccato. Cintia Sirena.
LEL. Bello, bello! Cintia è la luna, che vuol dire lunatica. Sirena, cioè lusinghiera ed ingannatrice.
ELEON. Ma questo poi...
FLOR. Signor Lelio, siete troppo mordace.
LEL. Quando mi viene la palla al balzo, non la perdono a nessuno.
FLOR. Voi criticate tutti.
LEL. Facciano gli altri con me l’istesso, e saremo del pari.
OTT. Figliuola, ecco anche a voi la vostra patente. (a Rosaura)
ROS. Ed io che bel nome averò?
OTT. Leggetelo, e lo saprete.
ROS. Lo leggerò. Fidalma Ombrosia.
FLOR. Bellissimo nome. Fidalma vuol dire alma fedele.
OTT. Signori miei, oggi dopo pranzo daremo principio alle nostre radunanze, e da questo giorno avrà origine l’epoca della nostra accademia.
FLOR. Signor Ottavio, vi levo l’incomodo. Un affare di premura mi chiama altrove.
OTT. Addio, mio caro Breviano Bilio.
FLOR. Alcanto Carinio, vi riverisco. Fidalma, addio.
ROS. Addio, il mio caro Patetico.
FLOR. (Quest’accademia vuol essere a proposito per l’amor mio. In grazia della poesia potrò trattare liberamente colla signora Rosaura, e stabilire con essa un matrimonio in versi). (da sé, parte)
LEL. Amico, a rivederci.
OTT. A rivederci, amatissimo Ovano Pazzio.
LEL. Oggi ammireremo il vostro ottimo gusto. (E goderemo alle spalle di un generoso poeta). (da sé, parte)
ELEON. Anch’io vi riverisco, signor Ottavio.
OTT. Tra noi non ci abbiamo a chiamare coi soliti nostri nomi, ma con quelli dell’accademia.
ELEON. Benissimo. Addio, Alcanto Carinio.
OTT. Vi saluto, Cintia Sirena.
ELEON. Fidalma, addio.
ROS. Addio, la mia cara Cintia.
ELEON. (Bellissime caricature! Ecco la ragione, per cui si suol dire che i poeti son pazzi). (da sé, parte)

SCENA SECONDA
OTTAVIO e ROSAURA


ROS. Signor padre, anch’io mi ritirerò in compagnia delle Muse, per rivedere un sonetto che ho fatto ieri.
OTT. Qual è l’argomento di questo vostro sonetto?
ROS. Eccolo qui: Nice vuol palesare il proprio amore a Fileno.
OTT. Come! Un sonetto amoroso! Mi maraviglio di voi, che non abbiate rossore a dirlo. Una figlia onesta non deve parlar d’amore.
ROS. Lo stile amoroso mi sembra il più facile e il più soave.
OTT. Lo stile amoroso non è per voi. Le fanciulle non devono discorrere di questa pericolosa materia.
ROS. Ma caro signor padre, mi avete pur voi consigliata a studiare il Petrarca, e me l’avete dato voi stesso colle vostre mani. I sonetti del Petrarca sono tutti amorosi, ed io mi sono invaghita di quel bellissimo stile.
OTT. Eh, se tu arrivassi a formare un sonetto sullo stile del Petrarca, felice te!
ROS. Io certamente mi studio, per quanto posso, imitarlo.
OTT. Sentiamo un poco, se lo sai imitare.
ROS. Eccovi il mio sonetto. Nice vuol palesare il proprio amore a Fileno.
OTT. Leggetelo, e poi stracciatelo subito.
ROS.
SONETTO
Se il tardo incerto favellar degli occhi
Al cuor duro non passa, e nol penetra;
Se per umide stille ei non si spetra,
E Amore invan tempri suo dardo, e scocchi.

OTT. Oh bello! Oh che versi! Oh figlia mia, come avete fatto? Possibile che questi versi sian vostri?
ROS. Ve lo giuro, che sono miei.
OTT. Oh che bella cosa!
E Amore invan tempri suo dardo, e scocchi
Oh cara! Andiamo avanti.
ROS. Strale, che in sen non cape, esca e trabocchi.
OTT. Fa una cosa, tornami a leggere tutto il sonetto intero. Lo voglio sentire senza interrompimento.
ROS. Farò come volete. Io non ho altro gusto, che leggere i miei sonetti.
OTT. Questo è il frutto delle fatiche di noi poeti. Leggere le nostre composizioni, e sentirci dir bravi.
ROS. Eccovi un’altra volta il sonetto.

Se il tardo incerto favellar degli occhi
A cuor duro non passa, e nol penetra;
Se per umide stille ei non si spetra,
E Amore invan tempri suo dardo, e scocchi;
Strale, che in sen non cape, esca e trabocchi
Dalle timide labbra, e sia faretra,
Che di lui passi l’aspro sen di pietra,
E la piaga s’interni, e il suo cuor tocchi.
Timor, vergogna o verginal rossore
Fia che m’arresti fra le labbra i detti,
E la fiamma nel sen respinga e chiuda?
Ah, non fia ver che lo permetta Amore;
Amore i casti ed onorati affetti
A trista legge non condanna, e cruda.

OTT. Figlia mia, tu hai composto un sonetto, che vale un tesoro.
ROS. Mi dispiace che converrà lacerarlo.
OTT. Come! Perché lacerarlo?
ROS. Perché è un sonetto amoroso.
OTT. Un sonetto di questa sorta si può comportare.
ROS. Ho da farlo sentire?
OTT. Certamente. Questo ti può far grande onore.
ROS. Vorrei darlo al signor Florindo.
OTT. Stupirà, quando lo vedrà.
ROS. E se egli mi risponde?
OTT. Non gli basterà l’animo di fare un sonetto simile.
ROS. Lo vedremo.
OTT. Sì, lo vedremo.
ROS. Lo vado a ricopiare.
OTT. Copialo, che tu sia benedetta.
ROS. Mi date licenza, che se l’estro mi eccita, componga dei sonetti amorosi?
OTT. Se hanno a essere di questo stile, non te li so vietare.
ROS. Ma la signora madre, che io venero per tale, benché matrigna, mi sgrida sempre e non vorrebbe ch’io coltivassi la poesia.
OTT. Beatrice è una sciocca. Mi pento moltissimo di essermi con essa rimaritato. L’ho fatto per la dote, per altro una donna ignorante non era degna di me.
ROS. Quando sente parlare di poesia, ride e burla, come se la poesia fosse una cosa ridicola.
OTT. Ignorantaccia.
ROS. Pretende che io tralasci lo studio delle Muse, per lavorare e cucire.
OTT. Quando potete, fatelo.
ROS. E se l’estro mi chiama a scrivere?
OTT. Lasciate tutto, e scrivete.
ROS. (Non vi è pericolo che mia matrigna mi veda più dare un punto. Averò sempre l’estro poetico, per liberarmi dal tedio del lavorare). (da sé, parte)

SCENA TERZA
Ottavio solo.


OTT. Mia figlia ha composto un sonetto, che mi fa arrossire. Come ha ella facile l’imitazion del Petrarca! Io ho sempre seguito lo stile eroico, e non so se mi riuscisse di fare un sonetto amoroso sullo stil del Petrarca. Voglio provarmi. Qual sarà l’argomento? Eccolo. Un amante invita la sua bella donna a cantare. Principiamo.

SONETTO

Al dolce suon dell’armoniosa lira... Armoniosa quadrisillabo non va bene. Bisogna farlo di cinque sillabe. Al dolce suon d’armonïosa lira. Armonïosa, ora va bene. Vien Nice a scior la chiara voce al canto. Sovra i garruli cigni avrai tu il vanto... Garruli cigni, cigni garruli, non so se vada bene. Vedrò se il Petrarca l’ha usato. Il quarto verso deve finire in ira. Sospira, delira, tira. Nessuna di queste rime mi piace. Mira, ammira, rimira... Né anche queste. Vediamo un poco nel rimario dello Stigliani. Gran bel comodino per i poeti è questo rimario! È vero che qualche volta si accomoda e si stiracchia il sentimento alla rima, ma si risparmia la fatica, e si fa più presto il sonetto. (prende il rimario, e legge) Aspira, dira, gira, adira. Sovra i garruli cigni avrai tu il vanto. Vanto per cui l’istesso Apol s’adira. Questa prima quartina, mi sembra assai petrarchesca. Alla seconda quartina. Un’altra rima in ira. Questo mio cor, che per te sol delira. Un altra rima in anto. Te invita, o bella... Te invita, o bella...

SCENA QUARTA
BEATRICE ed OTTAVIO


BEAT. Signor consorte carissimo.
OTT. Zitto. Te invita, o bella...
BEAT. Sia maledetta la poesia.
OTT. Zitto. (Bisogna ch’io ricorra al rimario). (da sé, legge)
BEAT. Questa casa è tutta in disordine per causa della poesia. Il padrone poeta, i servitori poeti, la figlia poetessa, nessuno fa il suo dovere, e tocca a me sola a pensare a tutto. Questa mattina, per quel che vedo, non si pranzerà. Brighella ha fatto la spesa, e poi subito si è ritirato in camera a comporre; e invece di far fuoco, portar acqua e legna, si perde a far dei versacci. Ma voi siete causa di tutto. Voi date loro fomento colle vostre pazzie.
OTT. (L’ho trovata). (da sé, scrive)
BEAT. Che! Mi lasciate parlare come una pazza, e non mi date risposta?
OTT. Zitto.
BEAT. Così non può durar certamente.
OTT. Zitto; ho perso la rima, non me ne ricordo più. Te invita, o bella...
BEAT. Rispondetemi a questo che vi dico, e poi me ne vado.
OTT. Te invita, o bella, a respirar alquanto.
BEAT. Ma io non sono finalmente la vostra serva.
OTT. Ma voi mi volete far dar al diavolo. Non vedete che son qui tutto intento a comporre un sonetto, e voi mi fate perdere le rime?
BEAT. Voi fate il sonetto, e questa mattina non si pranzerà.
OTT. Deh non sdegnar... Perché non si pranzerà?
BEAT. Brighella compone.
OTT. Chiamatelo. Deh non sdegnar di stare meco accanto.
BEAT. L’ho chiamato, e non vuol venire.
OTT. Dove sta?
BEAT. In quella camera.
OTT. Ora lo chiamerò io.
BEAT. Via, chiamatelo.
OTT. Zitto. (Una rima in ira ). (da sé)
BEAT. Chiamatelo e poi finirete il sonetto.
OTT. Sì, ora lo chiamo. (s’alza e poi torna al tavolino) Ch’io pietà merto...
BEAT. E così?
OTT. Ch’io pietà merto...
BEAT. Siete insopportabile.
OTT. E non dispetto ed ira. Il diavolo che vi porti. Brighella, ehi, Brighella, dove sei?

SCENA QUINTA
BRIGHELLA di dentro, e detti.


BRIGH. Signor.
OTT. Che cosa fai là dentro?
BRIGH. Fenisso un’ottava.
OTT. Via finiscila, e poi vieni qui.
BEAT. E intanto che finirà l’ottava, chi anderà a comprare il pane?
OTT. Oh che seccatura! Brighella, vieni qui.
BRIGH. (Fuori) Son qua.
OTT. Hai finita l’ottava?
BRIGH. Signor sì.
OTT. Ho piacere. Senti che cosa dice la padrona.
BEAT. Con questa maledetta poesia mi volete far disperare.
BRIGH. La prego, la me comanda, farò tutto, ma no la maledissa la poesia.
OTT. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira.
BRIGH. Un gran bel verso.
BEAT. Animo, va a prendere il pane.
BRIGH. Lustrissima sì. Sior padron, l’ala fatto ella sto bel verso?
OTT. Sì, io. Senti queste due quartine, fatte ora in questo momento.
BEAT. Lasciatelo andare, che è tardi. (ad Ottavio)
BRIGH. Per carità, la me le lassa sentir. (a Beatrice)
OTT. Senti, e stupisci. Al dolce suon d’armoniosa lira.
BRIGH. Oh bello!
OTT. Vien Nice a scior la chiara voce al canto.
BRIGH. Oh caro!
OTT. Sovra i garruli cigni avrai tu il vanto.
BRIGH. Garruli cigni. Oh benedetto!
OTT. Vanto per cui lo stesso Apol s’adira.
BRIGH. Oh che roba! Vanto per cui lo stesso Apol s’adira.
BEAT. E così, è finito?
OTT. Senti quest’altra quartina.
BEAT. Il mezzogiorno è sonato.
OTT. Questo mio cor, che per te sol delira.
BRIGH. Delira. La me daga i bezzi, e vago subito. (a Beatrice)
BEAT. Tieni, questo è un paolo.
OTT. Te invita, o bella, a respirar alquanto.
BRIGH. Alquanto.
BEAT. Compra sei pani, e il resto frutti.
OTT. Deh, non sdegnar di starti meco accanto.
BEAT. Tu non mi abbadi. (a Brighella)
BRIGH. Signora sì.
BEAT. Che cosa ti ho detto?
OTT. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira.
BRIGH. Oh vita mia!
BEAT. E così?
BRIGH. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira.
BEAT. Va a comprare il pane, che ti caschi la testa.
OTT. Vanne, che la mia sposa omai s’adira.
BRIGH. Ch’io pietà merto, e non dispetto ed ira. (parte)

SCENA SESTA
OTTAVIO e BEATRICE


OTT. Oh bravo! Oh bravo! Che bell’estro ha costui! Se avesse studiato, sarebbe un portento.
BEAT. Avrei bisogno di discorrervi d’un’altra cosa.
OTT. Per carità, lasciatemi finire questo sonetto.
BEAT. Ascoltatemi, e poi non vi do più disturbo.
OTT. Via, parlate.
BEAT. Mi ascolterete?
OTT. Vi ascolterò. (va scrivendo)
BEAT. Voi avete una figlia del primo vostro matrimonio. Ella è grande, ella è nubile, ella è vistosa. Per causa della poesia in questa casa pratica di molta gente. Vengono dei giovinotti, trattano con essa familiarmente. Marito mio carissimo, non vorrei che le Muse avessero a far le mezzane a questa ragazza, onde vi consiglio a pensarvi. Procurate di maritarla, ponetela in sicuro, trovatele un buon partito, liberatevi da questo disturbo e da questo pericolo, che vi troverete assai più contento, e io viverò più quieta. Che ne dite? Vi pare ch’io parli giustamente? Approvate il mio consiglio?
OTT. Alternando le voci in dolce suono...
BEAT. Pazzo, pazzissimo, mille volte pazzo. (parte)

SCENA SETTIMA
OTTAVIO solo.


OTT. Sia ringraziato il cielo, che se n’è andata.
Alternando le voci in dolce suono,
Nice, bell’idol mio, Fauni e Silvani.
Noi faremo balzar da fonti e selve.
Concedi, o Nice, a chi t’adora, il dono;
E nostra fama ai lidi più lontani
Renderà stupefatti uomini e belve.
Oh buono! Oh bello! Con tutto lo stordimento di Beatrice, ho fatto due terzetti spaventosi. Bisogna nascer così. Poetae nascuntur. Presto, voglio far sentire questo gran sonetto a mia figlia. Gran donna! gran poetessa! Bisogna dire, che quando l’ho io generata, concorressero alla grand’opera le nove Muse ed Apollo istesso. Sì, vado a comunicare al parto delle mie viscere il parto novello della mia mente.
E nostra fama ai lidi più lontani
Renderà stupefatti uomini e belve. (recitando parte)


SCENA OTTAVA
Camera di locanda.
TONINO e CORALLINA


TON. Via, cossa gh’è? Coss’è sta malinconia? Se ancuo le cosse va mal, un altro zorno le anderà ben.
COR. Dite benissimo; se oggi non si mangia, forse forse si mangerà domani, e se non domani, può essere un altro giorno. Questo locandiere non ci vuol dare un pane a credenza.
TON. Cara muggier, gh’avè rason, ma ve prego, no me mortifichè d’avantazo. Avemo fenio i bezzi, avemo fenio la roba, no me xe restà altro che un poco de spirito, per cercar el remedio alle nostre desgrazie. Se me avvilì, se me opprimè, semo persi affatto, podemo andarse a far seppellir, perché moriremo de fame.
COR. Per oggi non moriremo di fame, poiché ho mandato Arlecchino mio fratello a vendere un fazzoletto di seta, che era l’unico mobile che mi era restato.
TON. Poverazza! Diseme, cara, seu pentia d’averme tolto per mario?
COR. Compatitemi, queste non sono interrogazioni da fare a una moglie, quando non vi è da mangiare.
TON. Pol esser che colla poesia se femo strada a qualche fortuna. Mi savè che per componer in bernesco e per improvvisar, a Venezia giera in qualche concetto. Vu sè anca più brava de mi, componè de bon gusto, componè all’improvviso, e col vostro stil particolar v’avè sempre fatto onor, onde tra vu e mi possibile che no scoverzimo qualche raggio de bona fortuna?
COR. Eh, caro marito, al giorno d’oggi la povera poesia non si considera un fico.
TON. Eppur mi me son innamorà in vu per causa della poesia.
COR. Mi dispiace avervi data una dote così cattiva.
TON. La dota che m’avè dà, la xe poca, ma la me piase.
COR. Se vi piace, è tutta per voi. Ma ecco mio fratello.

SCENA NONA
ARLECCHINO e detti.


ARL. Signori virtuosi, li riverisco.
COR. E così?
ARL. Come stali d’appetito?
TON. Sè qua sempre colle vostre barzellette.
COR. E così del fazzoletto come è andata?
ARL. L’è andà.
COR. L’avete esitato?
ARL. L’ho esità.
COR. Come?
ARL. Ve dirò. Son andà in piazza, e per farme passar la fame, son andà a veder Purichinella. Un galantomo che m’ha visto el fazzoletto in scarsella, el s’ha imaginà che lo volesse esitar, e per liberarme dalla fadiga de contrattar, el me l’ha tolto e el me l’ha portà via.
TON. I v’ha robà el fazzoletto?
ARL. Credo che tolto e robà voia dir l’istesso.
COR. E mi dite che l’avete esitato?
ARL. In sta maniera l’ho esità seguro.
COR. Povera me! come mangeremo?
TON. Ancuo, come disnaremio?
ARL. Quest l’è quel che vad considerand anca mi.
COR. Uomo da poco.
TON. Senza cervello.
COR. Scimunito.
TON. Alocco.
ARL. Se el gridar fa passar la fame, scomenzerò a gridar anca mi.
COR. Come abbiamo da fare?
TON. Come se podemio inzegnar?
ARL. Gnente. Per mi gh’è un ravano e un pezzo de pan avanzà iersera. Vualtri, con un sonetto per omo, disnè da prencipi.
COR. Eh, fratel caro!
La povera cicala,
Che d’aria solamente si nutrisce,
Canta, crepa e finisce.
È un cantar poco grato
Il compor versi, e non aver mangiato.
TON. Brava. Cussì me piase. Passarsela con disinvoltura.
ARL. Per ancuo stè ben. Co sto madregal in corpo no avè bisogno de altro.
COR. Possibile che non si trovi un cane che ci aiuti? Se io fossi uomo, certamente mi vorrei ingegnare.
ARL. Anzi essendo donna, podè inzegnarve più facilmente.
COR. Una donna onorata non può girare per la città.
ARL. Gnente; senza che v’incomodè, podè far el fatto vostro anca in casa.
TON. Sier cugnà caro, no so che razza de descorso sia el vostro. So che sè nato omo ordenario, e se no fusse stà la vertù e el spirito de vostra sorella, no me saria degnà de imparentarme con vu. Ste massime, ste proposizion le xe indegne de mia muggier e de mi. Semo do poveri sfortunai, ma semo do persone onorate. Se la fortuna ne vorrà agiutar, accetteremo la provvidenza del cielo, se no, pazenzia; moriremo de fame più tosto che far male azion, e imparè una volta, imparè:
Che più d’ogni fortuna
L’onor s’ha da stimar;
E che chi per magnar vive da sporco,
Merita de morir scannà qual porco.
COR. Signor sì, è verissimo.
Chi per saziar la gola,
La sua riputazion manda in rovina,
Merita d’esser posto alla berlina.
ARL. Sior sì, l’è vero.
Un bel morir tutta la vita onora,
Ma un bel magnar salva la vita ancora.
TON. Vu no pensè altro che a magnar.
ARL. Orsù, vegnì qua, e sentì se son un omo de garbo; e lodeme, e insoazeme.
COR. Che cosa avete fatto di buono?
TON. Saria un miracolo, che ghe n’avessi fatto una de ben.
ARL. Andand per la città, ho trovà un mio patrioto, che se chiama Brighella Gambon. S’avemo cognossù, e per dirvela in confidenza, el m’ha menà a far colazion.
TON. El v’ha menà a marenda?
COR. Avete mangiato?
ARL. Poveretti! Ghe vien l’acqua in bocca. Sto Brighella serve un patron, che l’è perso, morto e spanto per la poesia. Alle curte: ho parlà de vualtri do, ho dito che fe versi, co magnè, co dormì e co sè al licet; el m’ha promesso che adessadesso el lo condurrà qua.
COR. Come! Che persona è? Prima di riceverlo, mi voglio informare.
ARL. Oh, che difficoltà! L’è un galantomo, e pol esser che per un per de sonetti el ve daga da disnar.
TON. Qua bisogna buttarse in mar, cercar onoratamente de far fortuna.
COR. Sento battere.
ARL. Vago a veder. Eh, se no fusse mi che ve agiutasse, poveretti vu. La virtù l’è bella e bona, ma qualche volta una bona lengua val più de una bona testa, e un omo virtuoso, che no abbia coraggio, l’è giusto come un diamante grezzo; onde, come dise el poeta:
Zoggia che no se netta, è sempre immonda;
Testa che no se squadra, è sempre tonda.
(parte, poi torna)
COR. Eppure anche mio fratello ha dell’estro.
TON. Vostro pare no gierelo poeta?
COR. E come!
TON. Questa xe la fortuna dei fioi dei poeti; se no eredita altro, i eredita l’estro della poesia.
ARL. Oe, l’è qua l’amigo.
COR. Chi?
ARL. El poeta.
TON. Come se chiamelo?
ARL. Domandeghelo a lu, che el ve lo dirà.
COR. Che persona è?
ARL. Persona prima, numero singolar. (parte)
COR. Non vorrei che mio fratello mi mettesse in qualche impegno.
TON. Sè con vostro mario, cossa gh’aveu paura?
COR. Mio marito non è solo.
TON. E chi ghe xe con vostro mario?
COR. A dirlo mi vergogno:
Vi è quel brutto compagno del bisogno.



SCENA DECIMA
OTTAVIO, BRIGHELLA e detti.


OTT. Riverisco lor signori.
COR. Serva umilissima.
TON. Patron mio reverito.
OTT. Perdonino, se mi sono preso l’ardire di venirli a incomodare.
TON. Anzi la n’ha fatto grazia.
OTT. Mi ha detto il mio servitore, che lor signori sono due celebri e valorosi poeti.
BRIGH. Un mio patrioto m’ha informà del so merito.
COR. Poeti siamo, ma non celebri, né valorosi.
TON. Semo do poeti alla moda del nostro secolo, che vuol dir sfortunai e pieni de desgrazie.
OTT. Ah, pur troppo la poesia non è oggi in quel pregio in cui esser dovrebbe; spero per altro che non passerà molto, che risorgerà il regno delle Muse, e non anderà senza premio chi averà il merito di una così bella virtù.
TON. Disela da senno? Oh magari!
BRIGH. Semo drio a perfezionar un’accademia.
COR. Anche voi vi dilettate?
OTT. Sì, è mio servitore. Ha dello spirito, ha dell’estro, lo tengo al mio servizio per questo. Quando trovo poeti, vorrei poterli beneficar tutti, vorrei poterli assistere, soccorrere, esaltare.
TON. (Questo xe giusto el nostro bisogno). (da sé)
OTT. Sappiate ch’io sono principe e fondatore di un’accademia.
BRIGH. E anca mi, debolmente, son membro della medesima.
TON. Anca vu accademico? (a Brighella)
BRIGH. Gh’ho el titolo de bidello, ma fazzo anca mi qualcossetta.
OTT. L’accademia chiamasi dei Novelli e se volete esservi anche voi ascritti, procurerò di aggregarvi.
COR. Sarebbe per noi troppo onore.
OTT. Come vi chiamate? (a Corallina)
COR. Io ho nome Corallina.
TON. E mi Tonin, per servirla.
OTT. Di che paese siete? (a Tonino)
TON. Mi son venezian.
COR. Ed io sono nata a Bergamo, ma sono stata allevata fuori.
OTT. È molto tempo che siete in questa città? (a Tonino)
TON. Sarà tre zorni.
OTT. Siete marito e moglie? (a Corallina)
COR. Sì signore, e abbiamo i nostri attestati.
OTT. Ma per che causa vi ritrovate qui? (a Tonino)
TON. Ghe dirò: la sappia che mio pare...
OTT. Ditemi, in che stile componete voi? (a Tonino)
TON. Per el più in bernesco e in lengua veneziana, e me diletto de improvvisar.
OTT. Bravo! Di bei sali si sentono nel vostro idioma! Gran bella cosa è l’improvvisare. Sicché vostro padre... Seguitate.
TON. Mio pare xe un mercante ricco venezian, el qual avendo dei negozi in Toscana...
OTT. E voi, signora, in che stile componete? (a Corallina)
COR. Un poco in uno stile, un poco nell’altro; e anch’io qualche volta dico dei versi all’improvviso.
OTT. Bravissima. E così? (a Tonino)
TON. E cussì, el m’ha mandà in Toscana, e capitando a Fiorenza, ho avù occasion de veder e de praticar...
OTT. Io compongo volentieri nello stile eroico. (a Corallina)
BRIGH. E mi in stil macheronico.
COR. Ogni stile è bello e buono, quando si tratta felicemente.
TON. Comandela che seguita la nostra istoriella? (ad Ottavio)
OTT. Voglio farvi sentire uno dei miei sonetti eroici.
TON. Lo sentirò volentiera. (Ma col stomego vodo gh’averò poco gusto). (da sé)
OTT. Compatirete.
COR. Anzi ammireremo. Ma favorisca, sediamo.
OTT. Come volete. (siedono) Notate la difficoltà delle rime, la novità del pensiere, la forza e la condotta.
TON. Tutte cosse maravegiose.
OTT. Compatirete. Sopra i fulmini.
SONETTO
De’ terribili tuoni al fiero strepito
L’orrida cupa valle omai rimbomba;
Ogni avello si spezza ed ogni tomba,
E precipita il monte alto decrepito.
Orsi, lupi, leoni han dato un crepito,
Qual scordata, stridente, arida tromba.
Sembra la terra omai qual catacomba;
Io tremo, e fuggo, e mi nascondo, e strepito.
Precipita dal ciel fuoco a bizzeffe,
S’ode di zolfo e di bitume il tuffo,
E alle quercie si dan tagli e sberleffe.
Sentomi pel terrore alzare il ciuffo.
Chi avvien che i bronzi e i ferrei tuoni sbeffe,
Tremi del gran Tonante al fier rabbuffo.
COR. Bravo.
TON. Bravissimo.
OTT. Compatirete.
COR. Oh che rime difficili!
TON. Ghe xe parole che le par cannonae.
OTT. Compatirete.
TON. Se la comanda, ghe dirò brevemente la catastrofe dei mi accidenti.
OTT. Catastrofe! Bella parola da mettere in un verso eroico. Sì, la sentirò volentieri.
BRIGH. Anca mi, se el padron se contenta, ghe reciterò una piccola composizion.
OTT. Sì, fa sentire qualche cosa del tuo.
BRIGH. I compatirà.
COR. Ammireremo.
TON. Sentiremo el vostro spirito.
BRIGH. I compatirà. Dirò un’ottava armigera sul stil dell’Ariosto
.
TON. Un’ottava armigera? Bravo.
BRIGH. I compatirà.
E mentre il cavalier salisce in sella
Vede il nemico che l’affronta a fronte,
Ed egli mette mano alla rotella,
E fiero il guarda, come Rodomonte.
Il nemico si ferma, e a lui favella
Con queste che dirò parole pronte:
Scendi di sella, o cavalier errante,
Ch’io ti voglio tagliare la corazza e il turbante.
TON. Bravissimo. (Tre piè de più). (da sé)
COR. Evviva.
BRIGH. I compatirà.
OTT. Oh via, signori miei, favoriscano dirmi per quale avventura si trovano nella nostra città.
TON. Spero che se la saverà le nostre peripezie, la se moverà a compassion de nu.
OTT. Peripezie, mi piace; ma è prosaico.
COR. Siamo due poveri sventurati.
OTT. Ma non si potrebbe sentire qualche cosa poetica del signor Tonino e della signora Corallina?
TON. Se faremo cussì, ella no saverà l’esser mio, e mi no poderò sperar gnente da ella.
OTT. Ditemi, in grazia. Non sapete improvvisare?
TON. Qualche volta improvviso.
OTT. Ebbene, fate così. Narratemi la vostra istoria improvvisando in versi.
TON. Se pol benissimo.
OTT. Via dunque, fate che nel medesimo tempo senta le vostre virtù, e le vostre peripezie.
BRIGH. Oh magari! Sentirò anca mi volentiera.
TON. Cossa diseu, muggier?
COR. Dite voi la vostra parte, che io dirò la mia.
OTT. Animo, da bravi.
TON. Per narrative, no gh’è meggio dell’ottava rima.
OTT. Benissimo. Spiegatevi in ottava rima.
BRIGH. L’ottava l’è el mio forte anca de mi.
TON. La compatirà.
OTT. Ammireremo.
COR. Perdonerà.
OTT. Mi meraviglio.
TON. In lengua veneziana.
OTT. Benissimo.
TON. La compatirà.
OTT. Non mi fate penare.
TON. Mio pare, che in Venezia è un bon mercante,
A Fiorenza me manda a negoziar:
Vedo de Corallina el bel sembiante,
E me sento alla prima innamorar.
Benché ordenaria e priva de contante,
M’ha savesto el so spirito obbligar.
Mio pare negoziar m’ha comandà,
E mi, per obbedir, m’ho maridà.
OTT. Bravissimo.
COR. In Bergamo son nata, e da piccina
Sono stata in Firenze trasportata,
Ove imparai la lingua fiorentina,
Senza la gorga che dal volgo è usata.
Mia zia, che mi condusse, è contadina,
E all’orticel mi aveva destinata.
Erbe e fior coltivai, ma sopra tutto
Pensai raccor del matrimonio il frutto.
BRIGH. Evviva.
TON. Torno a Venezia colla mia novizza
El pare se ne accorze, e el me descazza,
E tanto fogo contra mi l’impizza,
Che farme véder me vergogno in piazza.
Tutto in un tempo me vien su la stizza;
Chiappo su e vegno via co sta gramazza.
Finché ho abuo bezzi, semo andai pulito,
Ma adesso me tormenta l’appetito.
OTT. Oh bene!
COR. E finché vive del mio sposo il padre,
A Venezia tornar noi non vogliamo.
Fortuna, che per anco io non son madre,
Onde in poca famiglia ancora siamo.
Pericolo non v’è, che genti ladre
Ci rubino i bauli che portiamo;
Mentre noi non abbiam, come sapete,
Altro baul che quello che vedete.
(mostra un piccolo baule, ch’è nella stanza)
BRIGH. Oh cara!
TON. Semo do poverazzi sfortunai,
E s’avemo cazzà in la fantasia,
Per esser sempre poveri spiantai,
De voler coltivar la poesia.
Ma, grazie al cielo, semo capitai
Dove regna la vera cortesia.
Spero poder sfogar la doppia brama
De saziar la mia fame e la mia fama.
OTT. Oh che bella cosa!
COR. Signor, l’istoria nostra avete intesa.
Movetevi, di grazia, a compassione;
Noi persone non siam di molta spesa,
E alla tavola avremo discrezione.
Due giorni son che abbiam la gola tesa,
Senza mai mandar giù neanche un boccone.
È tanto tempo che non ho mangiato,
Non posso più parlar, mi manca il fiato.
BRIGH. Poveretta! La me fa compassion.
OTT. Ho inteso tutto; se posso, voglio anch’io rispondervi con un’ottava all’improvviso. Io veramente non sono solito a improvvisare, ma mi ingegnerò. (Se avessi il rimario addosso!) (da sé) Basta, mi proverò. Compatirete.
Ho inteso, ho inteso i vostri casi strani,
Vi compatisco e ho di voi compassione.
Venite a casa mia... Venite a casa mia...
Venite a casa mia dunque domani.
Voleva dir che veniste oggi, ma per causa della rima verrete domani.
COR. Signore, mi perdoni, il verso potrebbe dire:
Venite a casa mia oggi e domani.
OTT. È vero, ma parrebbe che non vi volessi più.
TON. Con un altro verso se comoda.
Finché volete voi, vi fo padrone.
OTT. Benissimo. Torniamo da capo.
Ho inteso, ho inteso i vostri casi strani,
Vi compatisco e ho di voi compassione
Venite a casa mia oggi e domani,
Finché volete voi, vi fo padrone.
Una rima in ani, ed una in one.
Vivano i Fiorentini e i Veneziani,
Vivan le Muse e Apollo...
Vivan le Muse e Apollo...
BRIGH. Mio padrone...
OTT. Sì. Vivan le Muse e Apollo mio padrone.
Venite, che a cenar meco v’aspetto...
TON. Io vengo tosto, e le sue grazie accetto.
OTT. Evviva, bravissimo. Senz’altri complimenti, venite in casa mia; Brighella vi condurrà. Vi farò vedere i capitoli dell’accademia; vi darò la vostra patente. Oggi si reciterà, e voi vi farete onore. Bravi, evviva, mi consolate. Voglio che facciamo de’ milioni di versi.
Innalzar il suo nome ognun procura,
E di noi stupirà... madre natura. (parte)
COR. (Oh che vaga e gentil caricatura!) (da sé)
BRIGH. Andemo, e no perdemo tempo.
COR. E mio fratello?
BRIGH. So che Arlecchin l’è vostro fradello. L’è mio patrioto. L’è anca lu un poco poeta, l’introdurrò anca élo, e el magnerà.
Venite amici, io vi conduco dove
Risplende il sol... di mezzo dì, quando non piove. (parte)
TON. Quando ghe sia da laorar sui piatti,
Andemo a segondar sti cari matti. (parte)
COR. Scrivasi fra le cose rare e strane,
Ch’oggi la poesia ci ha dato il pane. (parte)