II. CHE COSA SIGNIFICA EVANGELIZZAZIONE
Complessità dell’azione evangelizzatrice
17. Nell’azione evangelizzatrice della chiesa, ci sono certamente degli elementi e degli aspetti da ritenere. Alcuni sono talmente importanti che si tende ad identificarli semplicemente con l’evangelizzazione. Si è potuto così definire l’evangelizzazione in termine di annuncio del Cristo a coloro che lo ignorano, di predicazione, di catechesi, di battesimo e di altri sacramenti da conferire. Nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella dell’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfino di mutilarla. È impossibile capirla, se non si cerca di abbracciare con lo sguardo tutti gli elementi essenziali. Questi elementi, chiaramente sottolineati durante il menzionato sinodo, vengono ancora approfonditi, di questi tempi, sotto l’influsso dei lavori sinodali. Siamo lieti che essi si collochino, in fondo, nella linea di quelli a noi trasmessi dal concilio Vaticano II, soprattutto nelle costituzioni "Lumen gentium", "Gaudium et spes" e nel decreto "Ad gentes".
Rinnovamento dell’umanità...
18. Evangelizzare, per la chiesa, è portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: " Ecco io faccio nuove tutte le cose ". Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo; e della vita secondo il vangelo. Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri.
... e degli strati dell’umanità
19. Strati dell’umanità che si trasformano: per la chiesa non si tratta soltanto di predicare il vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e col disegno della salvezza.
Evangelizzazione delle culture
20. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella costituzione "Gaudium et spes", partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio. Il vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il regno, che il vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture il vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna. La rottura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la buona novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la buona novella non è proclamata.
Importanza primordiale della testimonianza di vita
21. Ed essa deve essere anzitutto proclamata mediante la testimonianza. Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d’uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco: essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe immaginare. Allora con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi? Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace della buona novella. Vi è qui un gesto iniziale di evangelizzazione. Forse tali domande saranno le prime che si porranno molti non cristiani, siano essi persone a cui il Cristo non era mai stato annunziato, battezzati non praticanti, individui che vivono nella cristianità ma secondo principi per nulla cristiani, oppure persone che cercano, non senza sofferenza, qualche cosa o Qualcuno che essi presagiscono senza poterlo nominare. Altre domande sorgeranno, più profonde e più impegnative, provocate da questa testimonianza che comporta presenza, partecipazione, solidarietà, e che è un elemento essenziale, generalmente il primo, nella evangelizzazione. A questa testimonianza tutti i cristiani sono chiamati e possono essere, sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori. Pensiamo soprattutto alla responsabilità che spetta agli emigranti nei paesi che li ricevono.
Necessità di un annuncio esplicito
22. Tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata - ciò che Pietro chiamava " dare le ragioni della propria speranza " - esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La buona novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, figlio di Dio, non siano proclamati. La storia della chiesa, a partire dal discorso di Pietro la mattina di pentecoste, si mescola e si confonde con la storia di questo annuncio, Ad ogni nuova tappa della storia umana, la chiesa, continuamente travagliata dal desiderio di evangelizzare, non ha che un assillo: chi inviare ad annunziare il mistero di Gesù? In quale linguaggio annunziare questo mistero? Come fare affinché esso si faccia sentire e arrivi a tutti quelli che devono ascoltarlo? Questo annuncio - kerygma, predicazione o catechesi - occupa un tale posto nell’evangelizzazione che ne è divenuto spesso sinonimo. Esso tuttavia non ne è che un aspetto.
Per una adesione vitale e comunitaria
23. L’annuncio, in effetti, non acquista tutta la sua dimensione, se non quando è inteso, accolto, assimilato e allorché fa sorgere in colui che l’ha ricevuto un’adesione del cuore. Adesione alle verità che, per misericordia, il Signore ha rivelate. Ma più ancora, adesione al programma di vita - vita ormai trasformata - che esso propone. Adesione, in una parola, al regno, cioè al "mondo nuovo", al nuovo stato di cose, alla nuova maniera di essere, di vivere, di vivere insieme, che il vangelo inaugura. Una tale adesione, che non può restare astratta e disincarnata, si rivela concretamente mediante un ingresso visibile nella comunità dei fedeli. Così dunque, quelli, la cui vita si è trasformata, penetrano in una comunità che è di per sé segno di trasformazione e di novità di vita: è la chiesa, sacramento visibile della salvezza. Ma, a sua volta, l’ingresso nella comunità ecclesiale si esprimerà attraverso molti altri segni che prolungano e dispiegano il segno della chiesa. Nel dinamismo dell’evangelizzazione, colui che accoglie il vangelo come parola che salva, lo traduce normalmente in questi gesti sacramentali: adesione alla chiesa, accoglimento dei sacramenti, che manifestano e sostengono questa adesione mediante la grazia, che conferiscono.
Far sorgere un nuovo apostolato
24. Finalmente, chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza, Qui è la prova della verità, la pietra di paragone della evangelizzazione: è impensabile che un uomo abbia accolto la parola e si sia dato al regno, senza diventare uno che a sua volta testimonia e annunzia. Al termine di queste considerazioni sul senso dell’evangelizzazione, occorre presentare un’ultima osservazione, che noi stimiamo illuminante per le riflessioni che seguono. L’evangelizzazione, abbiamo detto, è un processo complesso e dagli elementi vari: rinnovamento dell’umanità, testimonianza, annuncio esplicito, adesione del cuore, ingresso nella comunità, accoglimento dei segni, iniziative di apostolato. Questi elementi possono apparire contrastanti e persino esclusivi. Ma in realtà sono complementari e si arricchiscono vicendevolmente. Bisogna sempre guardare ciascuno di essi integrandolo con gli altri. Il merito del recente sinodo sta nell’averci costantemente invitati a comporre questi elementi, più che ad opporli tra di loro, al fine di avere la piena comprensione dell’attività evangelizzante della chiesa. È questa visione globale, che ora vogliamo esporre nell’esaminare il contenuto dell’evangelizzazione, i mezzi per evangelizzare, e nel precisare a chi si indirizza l’annuncio evangelico e chi ne ha oggi l’incarico.
III. IL CONTENUTO DELL’EVANGELIZZAZIONE
Contenuto essenziale ed elementi secondari
25. Nel messaggio che la chiesa annunzia, ci sono certamente molti elementi secondari. La loro presentazione dipende molto dalle circostanze mutevoli. Essi pure cambiano. Ma c’è il contenuto essenziale, la sostanza viva, che non si può modificare né passare sotto silenzio, senza snaturare gravemente la stessa evangelizzazione.
Testimonianza resa all’amore del Padre
26. Non è superfluo ricordarlo: evangelizzare è anzitutto testimoniare, in maniera semplice e diretta, Dio rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito santo. Testimoniare che nel suo Figlio ha amato il mondo; che nel suo Verbo incarnato ha dato ad ogni cosa l’essere ed ha chiamato gli uomini alla vita eterna. Questa attestazione di Dio farà raggiungere forse a molti il Dio ignoto, che essi adorano senza dargli un nome, o che cercano per una ispirazione segreta del cuore allorquando fanno l’esperienza della vacuità di tutti gli idoli. Ma è pienamente evangelizzatrice quando manifesta che, per l’uomo, il Creatore non è una potenza anonima e lontana: è il Padre. "Siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" e siamo dunque fratelli gli uni gli altri in Dio.
Al centro del messaggio la salvezza di Gesù Cristo
27. La evangelizzazione conterrà sempre anche - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso. E non già una salvezza immanente, a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che si esauriscono nel quadro dell’esistenza temporale e si identificano totalmente con i desideri, le speranze, le occupazioni, le lotte temporali, ma altresì una salvezza che oltrepassa tutti questi limiti per attuarsi in una comunione con l’unico "Assoluto", quello di Dio: salvezza trascendente, escatologica, che ha certamente il suo inizio in questa vita, ma che si compie nell’eternità.
Sotto il segno della speranza
28. La evangelizzazione, di conseguenza, non può non contenere l’annuncio profetico di un al di là, vocazione profonda e definitiva dell’uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente: al di là del tempo e della storia, al di là della realtà di questo mondo la cui figura passa, e delle cose di questo mondo, del quale un giorno si manifesterà una dimensione nascosta; al di là dell’uomo stesso, il cui vero destino non si esaurisce nel suo aspetto temporale, ma sarà, rivelato nella vita futura. L’evangelizzazione contiene dunque anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella nuova alleanza in Gesù Cristo; la predicazione dell’amore di Dio verso di noi e del nostro amore verso Dio; la predicazione dell’amore fraterno per tutti gli uomini - capacità di dono e di perdono, di abnegazione, di aiuto ai fratelli - che, derivando dall’amore di Dio, è il nucleo del vangelo; la predicazione del mistero del male e della ricerca attiva del bene. Predicazione, ugualmente - e questa è sempre urgente - della ricerca di Dio stesso attraverso la preghiera principalmente adorante e riconoscente, ma anche attraverso la comunione con quel segno visibile dell’incontro con Dio che è la chiesa di Gesù Cristo, e questa comunione si esprime a sua volta mediante la realizzazione di quegli altri segni del Cristo, vivente ed operante nella chiesa, quali sono i sacramenti. Vivere in tal modo i sacramenti, sì da portare la loro celebrazione ad una vera pienezza, non significa, come taluno pretenderebbe, mettere un ostacolo o accettare una deviazione dell’evangelizzazione, ma darle invece la sua completezza. Perché l’evangelizzazione nella sua totalità, oltre che nella predicazione di un messaggio, consiste nell’impiantare la chiesa, la quale non esiste senza questo respiro, che è la vita sacramentale culminante nell’eucaristia.
Messaggio che coinvolge tutta la vita
29. Ma l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo. Per questo l’evangelizzazione comporta un messaggio esplicito, adattato alle diverse situazioni, costantemente attualizzato, sui diritti e sui doveri di ogni persona umana, sulla vita familiare senza la quale la crescita personale difficilmente è possibile, sulla vita internazionale, la pace, la giustizia, lo sviluppo; un messaggio, particolarmente vigoroso nei nostri giorni, sulla liberazione.
Un messaggio di liberazione
30. È noto in quali termini ne abbiano parlato, al recente sinodo, numerosi vescovi di tutti i continenti, soprattutto i vescovi del terzo mondo, con un accento pastorale in cui vibrava la voce di milioni di figli della chiesa che formano quei popoli. Popoli impegnati, noi lo sappiamo, con tutta la loro energia, nello sforzo e nella lotta di superare tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali, situazioni di neo-colonialismo economico e culturale talvolta altrettanto crudele quanto l’antico colonialismo politico. La chiesa, hanno ripetuto i vescovi, ha il dovere di annunziare la liberazione di milioni di esseri umani, essendo molti di essi figli suoi; il dovere di aiutare questa liberazione a nascere, di testimoniare per essa, di fare sì che sia totale. Tutto ciò non è estraneo all’evangelizzazione.
Un legame necessario con la promozione umana
31. Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - ci sono infatti dei legami profondi. Legami di ordine antropologico, perché l’uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche. Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell’ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare. Legami dell’ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l’autentica crescita dell’uomo? Noi abbiamo voluto sottolineare questo ricordando che è impossibile accettare che "nell’evangelizzazione si possa o si debba trascurare l’importanza dei problemi, oggi così dibattuti, che riguardano la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace del mondo. Sarebbe dimenticare la lezione che ci viene dal vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso". Ebbene, le medesime voci che con zelo, intelligenza e coraggio hanno affrontato nel corso del citato sinodo questo tema cruciale, hanno offerto, con nostra grande gioia, i principi illuminanti per cogliere la portata e il senso profondo della liberazione quale l’ha annunziata e realizzata Gesù di Nazaret, e quale la predica la chiesa.
Senza riduzione né ambiguità
32. Non dobbiamo nasconderci, infatti, che molti cristiani, anche generosi e sensibili alle questioni drammatiche che racchiude il problema della liberazione, volendo impegnare la chiesa nello sforzo di liberazione, hanno spesso la tentazione di ridurre la sua missione alle dimensioni di un progetto semplicemente temporale: i suoi compiti a un disegno antropologico; la salvezza, di cui essa è messaggera e sacramento, a un benessere materiale; la sua attività, trascurando ogni preoccupazione spirituale e religiosa, a iniziative di ordine politico o sociale. Ma se così fosse, la chiesa perderebbe la sua significazione fondamentale. Il suo messaggio di liberazione non avrebbe più alcuna originalità e finirebbe facilmente per essere accaparrato e manipolato da sistemi ideologici e da partiti politici. Essa non avrebbe più autorità per annunziare, come da parte di Dio, la liberazione. Per questo noi abbiamo voluto sottolineare nella medesima allocuzione all’inizio della terza assemblea sinodale "la necessità di riaffermare chiaramente la finalità specificamente religiosa dell’evangelizzazione. Questa perderebbe la sua ragion d’essere se si scostasse dall’asse religioso che la governa: il regno di Dio prima di ogni altra cosa, nel suo senso pienamente teologico".
La liberazione evangelica
33. Circa la liberazione, che l’evangelizzazione annunzia e si sforza di realizzare, bisogna dire piuttosto: - essa non può limitarsi alla semplice e ristretta dimensione economica, politica, sociale o culturale, ma deve mirare all’uomo intero, in ogni sua dimensione, compresa la sua apertura verso l’"assoluto", anche l’Assoluto che è Dio; - è dunque radicata in una certa concezione dell’uomo, in una antropologia, che non può mai sacrificare alle esigenze di una qualsivoglia strategia, di una prassi o di una efficacia a breve scadenza.
Fondata sul regno di Dio
34. Per questo, col predicare la liberazione e con l’associarsi a coloro che operano e soffrono per essa, la chiesa non accetta di circoscrivere la propria missione al solo campo religioso, disinteressandosi dei problemi temporali dell’uomo; ma riafferma il primato della sua vocazione spirituale, rifiuta di sostituire l’annuncio del regno con la proclamazione delle liberazioni umane, e sostiene che anche il suo contributo alla liberazione è incompleto se trascura di annunziare la salvezza in Gesù Cristo.
Una visione evangelica dell’uomo
35. La chiesa collega ma non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo, perché sa per rivelazione, per esperienza storica e per riflessione di fede, che non ogni nozione di liberazione è necessariamente coerente e compatibile con una visione evangelica dell’uomo, delle cose e degli avvenimenti; sa che non basta instaurare la liberazione, creare il benessere e lo sviluppo, perché venga il regno di Dio. Ben più, la chiesa ha la ferma convinzione che ogni liberazione temporale, ogni liberazione politica - anche se si sforza di trovare la propria giustificazione in questa o in quella pagina dell’antico o del nuovo testamento, anche se rivendica per i suoi postulati ideologici e per le sue norme di azione l’autorità dei dati e delle conclusioni teologiche, anche se pretende di essere la teologia per i nostri giorni - porta in se stessa il germe della propria negazione e decade dall’ideale che si propone sia perché i suoi motivi non sono quelli della giustizia nella carità, sia perché lo slancio che la trascina non ha una dimensione veramente spirituale e perché il suo scopo finale non è la salvezza e la beatitudine di Dio.
Esige una necessaria conversione
36. La chiesa reputa certamente importante ed urgente edificare strutture più umane, più giuste, più rispettose dei diritti della persona, meno oppressive e meno coercitive, ma è cosciente che le migliori strutture, i sistemi meglio idealizzati diventano presto inumani se le inclinazioni inumane del cuore dell’uomo non sono risanate, se non c’è una conversione del cuore e della mente di coloro che vivono in quelle strutture o le dominano.
Esclude la violenza
37. La chiesa non può accettare la violenza, soprattutto la forza delle armi - incontrollabile quando si scatena - né la morte di chicchessia, come cammino di liberazione, perché sa che la violenza chiama sempre la violenza e genera irresistibilmente nuove forme di oppressione e di schiavitù più pesanti di quelle dalle quali essa pretendeva liberare. Lo dicemmo chiaramente nel nostro viaggio in Colombia: "Vi esortiamo a non porre la vostra fiducia nella violenza né nella rivoluzione; tale atteggiamento è contrario allo spirito cristiano e può anche ritardare, e non favorire, l’elevazione sociale alla quale legittimamente aspirate"; "dobbiamo dire e riaffermare che la violenza non è né cristiana né evangelica e che i mutamenti bruschi o violenti delle strutture sarebbero fallaci, inefficaci in se stessi e certamente non conformi alla dignità del popolo".
Contributo specifico della chiesa
38. Detto questo, noi siamo lieti che la chiesa prenda coscienza sempre più viva della maniera propria, fondamentalmente evangelica, che essa ha di collaborare alla liberazione degli uomini. E che cosa fa? Cerca sempre più di suscitare numerosi cristiani che si dedichino alla liberazione degli altri. Offre a questi cristiani "liberatori" una ispirazione di fede, una motivazione di amore fraterno, un insegnamento sociale al quale il vero cristiano non può non essere attento, ma che deve porre alla base della sua sapienza, della sua esperienza per tradurlo concretamente in categorie di azione, di partecipazione e di impegno. Tutto questo, senza confondersi con atteggiamenti tattici né col servizio di un sistema politico, deve caratterizzare lo slancio del cristiano impegnato. La chiesa si sforza di inserire sempre la lotta cristiana per la liberazione nel disegno globale della salvezza che essa stessa annunzia.
Ciò che noi abbiamo qui ricordato emerge più di una volta dai dibattiti del sinodo. Noi abbiamo d’altronde voluto consacrare a questo tema alcune parole di chiarificazione nel discorso indirizzato ai padri alla chiusura dell’assemblea. Tutte queste considerazioni dovrebbero aiutare, bisogna sperarlo, ad evitare l’ambiguità che riveste troppo spesso la parola " liberazione " nelle ideologie, nei sistemi o nei gruppi politici. La liberazione che proclama e prepara l’evangelizzazione è quella che il Cristo stesso ha annunziato e donato all’uomo mediante il suo sacrificio.
La libertà religiosa
39. Da questa giusta liberazione legata all’evangelizzazione, che mira ad ottenere strutture salvaguardanti le libertà umane, non può essere separata l’assicurazione di tutti i fondamentali diritti dell’uomo, fra i quali la libertà religiosa occupa un posto di primaria importanza. Abbiamo recentemente parlato dell’attualità di tale questione, mettendo in rilievo "quanti cristiani, ancora oggi, perché cristiani, perché cattolici vivono soffocati da una sistematica oppressione! Il dramma della fedeltà a Cristo, e della libertà di religione, se pure mascherato da categoriche dichiarazioni in favore dei diritti della persona e della socialità umana, continua!".