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V. I DESTINATARI DELL’EVANGELIZZAZIONE


Una destinazione universale

49. Le ultime parole di Gesù nel vangelo di Marco conferiscono alla evangelizzazione, di cui il Signore incarica gli apostoli, una universalità senza frontiere: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura". I dodici e la prima generazione dei cristiani hanno ben compreso la lezione di questo testo e di altri simili; ne hanno fatto un programma di azione. La stessa persecuzione, disperdendo gli apostoli, ha contribuito a disseminare la parola e a far impiantare la chiesa in regioni sempre più lontane. L’ammissione di Paolo al rango degli apostoli e il suo carisma di predicatore ai pagani - non giudei - della venuta di Gesù Cristo ha ulteriormente sottolineato questo universalismo.



Nonostante tutti gli ostacoli

50. Lungo venti secoli di storia, le generazioni cristiane hanno affrontato periodicamente diversi ostacoli, che si frapponevano a questa missione universalistica. Da un lato, la tentazione, da parte degli stessi evangelizzatori, di limitare con differenti pretesti il loro campo di azione missionaria. Dall’altro, le resistenze, spesso umanamente insuperabili, di coloro ai quali si indirizza l’evangelizzatore. D’altronde, noi dobbiamo costatare con tristezza che l’opera evangelizzatrice della chiesa è fortemente contrastata, se non impedita, da poteri pubblici. Avviene, anche ai nostri giorni, che annunziatori della parola di Dio siano privati dei loro diritti, perseguitati, minacciati, eliminati per il solo fatto di predicare Gesù Cristo e il suo vangelo. Ma noi abbiamo fiducia che, malgrado queste prove dolorose, alla fin fine l’opera di questi apostoli non verrà meno in nessuna regione del mondo.

Nonostante tali avversità, la chiesa ravviva sempre la sua ispirazione più profonda, quella che le viene direttamente dal maestro: A tutto il mondo! A tutte le creature! Fino agli estremi confini della terra! Essa lo ha fatto di nuovo nel recente sinodo, come un appello a non imprigionare l’annuncio evangelico limitandolo a un settore dell’umanità, o a una classe di uomini, o a un solo tipo di cultura. Altri esempi potrebbero essere rivelatori.



Primo annuncio ai lontani

51. Rivelare Gesù Cristo e il suo vangelo a quelli che non li conoscono, questo è, fin dal mattino della pentecoste, il programma fondamentale che la chiesa ha assunto come ricevuto dal suo Fondatore. Tutto il nuovo testamento, e in modo speciale gli Atti degli apostoli, testimoniano un momento privilegiato e, in un certo senso, esemplare di questo sforzo missionario che si riscontrerà poi lungo tutta la storia della chiesa. Questo primo annuncio di Gesù Cristo, essa lo realizza mediante un’attività complessa e diversificata, che si designa talvolta col nome di "pre-evangelizzazione", ma che è già, a dire il vero, l’evangelizzazione, benché al suo stadio iniziale ed ancora incompleto. Una gamma quasi infinita di mezzi, la predicazione esplicita, certamente, ma anche l’arte, l’approccio scientifico, la ricerca filosofica, il ricorso legittimo ai sentimenti del cuore umano possono essere adoperati a questo scopo.



Annuncio al mondo scristianizzato

52. Se questo primo annuncio si rivolge specialmente a coloro, che non hanno mai inteso la buona novella di Gesù, oppure ai fanciulli, esso si dimostra ugualmente sempre più necessario, a causa delle situazioni di scristianizzazione frequenti ai nostri giorni, per moltitudini di persone che l’hanno ricevuto il battesimo ma vivono completamente al di fuori della vita cristiana, per gente semplice che ha una certa fede ma ne conosce male i fondamenti, per intellettuali che sentono il bisogno di conoscere Gesù Cristo in una luce diversa dall’insegnamento ricevuto nella loro infanzia, e per molti altri.



Le religioni non cristiane

53. Esso si rivolge anche a immense porzioni di umanità che praticano religioni non cristiane, che la chiesa rispetta e stima perché sono l’espressione viva dell’anima di vasti gruppi umani. Esse portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi. Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare. Sono tutte cosparse di innumerevoli "germi del Verbo" e possono costituire una autentica "preparazione evangelica", per riprendere una felice espressione del concilio Vaticano II tratta da Eusebio di Cesarea. Tale situazione suscita, certamente, questioni complesse e delicate, che conviene studiare alla luce della tradizione cristiana e del magistero della chiesa per offrire ai missionari di oggi e di domani nuovi orizzonti nei loro contatti con le religioni non cristiane.

Vogliamo rilevare, soprattutto oggi, che né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità dei problemi sollevati sono per la chiesa un invito a tacere l’annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani. Al contrario, essa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nella quale noi crediamo che tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità. Anche di fronte alle espressioni religiose naturali più degne di stima, la chiesa si basa dunque sul fatto che la religione di Gesù, che essa annunzia mediante l’evangelizzazione, mette oggettivamente l’uomo in rapporto con il piano di Dio, con la sua presenza vivente, con la sua azione; essa fa così incontrare il mistero della paternità divina che si china sulla umanità; in altri termini la nostra religione instaura effettivamente con Dio un rapporto autentico e vivente, che le altre religioni non riescono a stabilire, sebbene esse tengano, per così dire, le loro braccia tese verso il cielo.

Per questo la chiesa mantiene vivo il suo slancio missionario, e vuole altresì intensificarlo nel nostro momento storico. Essa si sente responsabile di fronte a popoli interi. Non ha riposo fin quando non abbia fatto del suo meglio per proclamare la buona novella di Gesù salvatore. Prepara sempre nuove generazioni di apostoli. Lo costatiamo con gioia nel momento in cui non mancano di quelli che pensano ed anche dicono che l’ardore e lo slancio apostolico si sono esauriti, e che l’epoca delle missioni è ormai tramontata. Il sinodo ha risposto che l’annuncio missionario non si inaridisce e che la chiesa sarà sempre tesa verso il suo adempimento.



Sostegno della fede dei fedeli

54. Tuttavia la chiesa non si sente dispensata da una attenzione altrettanto infaticabile nei confronti di coloro che hanno ricevuto la fede e che, spesso da generazioni, sono a contatto col vangelo. Essa cerca così di approfondire, consolidare, nutrire, rendere sempre più matura la fede di coloro che si dicono già fedeli e credenti, affinché lo siano maggiormente. Questa fede è quasi sempre, oggi, posta a confronto col secolarismo, anzi con l’ateismo militante: è una fede esposta alle prove e minacciata: di più, una fede assediata e combattuta. Essa rischia di perire per asfissia o per inedia se non è continuamente alimentata e sostenuta. Evangelizzare comporta dunque, molto spesso, comunicare alla fede dei credenti - particolarmente mediante una catechesi piena di linfa evangelica e corredata da un linguaggio adatto ai tempi e alle persone questo necessario alimento e questo sostentamento. La chiesa cattolica ha egualmente una viva sollecitudine per i cristiani che non sono in piena comunione con essa: mentre prepara con loro l’unità voluta dal Cristo, e precisamente per realizzare l’unità nella verità, è consapevole che mancherebbe gravemente al suo dovere se non testimoniasse presso di loro la pienezza della rivelazione, di cui custodisce il deposito.



Non credenti

55. Significativa è anche la preoccupazione, manifestatasi nel citato sinodo, nei riguardi delle due sfere molto differenti l’una dall’altra, e tuttavia molto vicine per la sfida che, ciascuna a suo modo, lancia all’evangelizzazione. La prima è quella che si può chiamare il progressivo aumento della non credenza nel mondo moderno. Il sinodo ha cercato di descrivere questo mondo moderno: sotto questo nome generico, quante correnti di pensiero, valori e controvalori, aspirazioni latenti o semi di distruzione, convinzioni antiche che scompaiono e convinzioni nuove che si impongono! Dal punto di vista spirituale, questo mondo moderno sembra dibattersi in quello che un autore contemporaneo ha chiamato "il dramma dell’umanesimo ateo".

Da una parte, si è obbligati a costatare nel cuore stesso di questo mondo contemporaneo il fenomeno che diviene quasi la sua nota più sorprendente: il secolarismo. Noi non parliamo della secolarizzazione, che è lo sforzo in sé giusto e legittimo, per nulla incompatibile con la fede o con la religione, di scoprire nella creazione, in ogni cosa o in ogni evento dell’universo, le leggi che li reggono con una certa autonomia, nell’intima convinzione che il Creatore vi ha posto queste leggi. Il recente concilio ha affermato, in questo senso, la legittima autonomia della cultura e particolarmente delle scienze. Noi vediamo qui un vero secolarismo: una concezione del mondo, nella quale questo si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio, divenuto in tal modo superfluo ed ingombrante. Un simile secolarismo, per riconoscere il potere dell’uomo, finisce dunque col fare a meno di Dio ed anche col negarlo.

Nuove forme di ateismo - un ateismo antropocentrico, non più astratto e metafisico ma pragmatico, programmatico e militante - sembrano derivarne. In connessione con questo secolarismo ateo, ci vengono proposti tutti i giorni, sotto le forme più svariate, la civiltà dei consumi, l’edonismo elevato a valore supremo, la volontà di potere e di dominio, discriminazioni di ogni tipo: altrettante inclinazioni inumane di questo umanesimo.

In questo stesso mondo moderno d’altra parte, paradossalmente, non si può negare l’esistenza di veri addentellati cristiani, di valori evangelici, per lo meno sotto forma di un vuoto o di una nostalgia. Non sarebbe esagerato parlare di una possente e tragica invocazione ad essere evangelizzato.



Non praticanti

56. Una seconda sfera è quella dei non praticanti, oggi un gran numero di battezzati che, in larga misura, non hanno rinnegato formalmente il loro battesimo, ma ne sono completamente al margine, e non lo vivono. Il fenomeno dei non praticanti è molto antico nella storia del cristianesimo, è legato ad una debolezza naturale, ad una profonda incoerenza che, purtroppo, ci portiamo dentro di noi. Esso presenta tuttavia oggi delle caratteristiche nuove. Si spiega spesso mediante gli sradicamenti tipici della nostra epoca. Nasce anche dal fatto che i cristiani oggi vivono a fianco con i non credenti e ricevono continuamente i contraccolpi della non credenza. D’altronde, i non praticanti contemporanei, più di quelli di altri tempi, cercano di spiegare e di giustificare la loro posizione in nome di una religione interiore, dell’autonomia o dell’autenticità personali.

Atei e non credenti da una parte, non praticanti dall’altra, oppongono dunque all’evangelizzazione resistenze non trascurabili. I primi, la resistenza di un certo rifiuto, l’incapacità di cogliere il nuovo ordine delle cose, il nuovo senso del mondo, della vita, della storia, che non è possibile se non si parte dall’" Assoluto ", che è Dio. Gli altri, la resistenza dell’inerzia, l’atteggiamento un po’ ostile di qualcuno che si sente di casa, che afferma di saper tutto, di aver gustato tutto, di non credervi più.

Secolarismo ateo e assenza di pratica religiosa si trovano presso gli adulti e presso i giovani, presso l’élite e nelle masse, in tutti i settori culturali, nelle antiche come nelle giovani chiese.

L’azione evangelizzatrice della chiesa, che non può ignorare questi due mondi né arrestarsi di fronte ad essi, deve cercare costantemente i mezzi e il linguaggio adeguati per proporre o riproporre loro la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo.



Nel cuore delle masse

57. Come Cristo durante il tempo della sua predicazione, come i dodici al mattino della pentecoste, anche la chiesa vede davanti a sé una immensa folla umana che ha bisogno del vangelo e vi ha diritto, perché Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità". Conscia del suo dovere di predicare la salvezza a tutti, sapendo che il messaggio evangelico non è riservato a un piccolo gruppo di iniziati, di privilegiati o di eletti ma destinato a tutti, la chiesa fa propria l’angoscia di Cristo di fronte alle folle sbandate e sfinite " come pecore senza pastore " e ripete spesso la sua parola: " Sento compassione di questa folla ". Ma è anche cosciente che, per l’efficacia della predicazione evangelica, nel cuore delle masse, essa deve indirizzare il suo messaggio a comunità di fedeli, la cui azione può e deve giungere agli altri.



Le comunità ecclesiali di base

58. Il recente sinodo si è molto occupato di queste piccole comunità o "comunità di base", perché nella chiesa d’oggi sono spesso menzionate. Che cosa sono e per quale motivo queste sarebbero destinatarie speciali di evangelizzazione e, nello stesso tempo, evangelizzatrici? Fiorendo un po’ dappertutto nella chiesa, secondo le differenti testimonianze sentite al sinodo, esse differiscono molto fra di loro, in seno alla stessa regione e, più ancora, da una regione all’altra.

In alcune regioni sorgono e si sviluppano, salvo eccezioni, all’interno della chiesa, solidali con la sua vita, nutrite del suo insegnamento, unite ai suoi pastori. In questo caso, nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della chiesa; oppure dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire, soprattutto nelle metropoli urbane contemporanee che favoriscono la vita di massa e insieme l’anonimato. Esse possono soltanto prolungare, a modo loro, a livello spirituale e religioso - culto, approfondimento della fede, carità fraterna, preghiera, comunione con i pastori - la piccola comunità sociologica, villaggio o simili. Oppure esse vogliono riunire per l’ascolto e la meditazione della parola, per i sacramenti e il vincolo dell’agape, gruppi che l’età, la cultura, lo stato civile o la situazione sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti, eccetera; persone che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l’aiuto fraterno ai poveri, per la promozione umana. Oppure, infine, esse radunano i cristiani là dove la penuria dei sacerdoti non favorisce la vita normale di una comunità parrocchiale. Tutto questo è supposto all’interno delle comunità costituite della chiesa, soprattutto delle chiese particolari e delle parrocchie.

In altre regioni, al contrario, comunità di base si radunano in uno spirito di critica acerba nei confronti della chiesa, che esse stigmatizzano volentieri come istituzionale e alla quale si oppongono come comunità carismatiche, libere da strutture, ispirate soltanto al vangelo. Esse hanno dunque come caratteristica un evidente atteggiamento di biasimo e di rifiuto nei riguardi delle espressioni della chiesa: la sua gerarchia, i suoi segni. Contestano radicalmente questa chiesa. In tale linea, la loro ispirazione diviene molto presto ideologica, ed è raro che non diventino quindi preda di una opzione politica, di una corrente, quindi di un sistema, anzi di un partito, con tutto il rischio che ciò comporta, di esserne strumentalizzate.

La differenza è già notevole: le comunità che per il loro spirito di contestazione si tagliano fuori dalla chiesa, di cui d’altronde danneggiano l’unità, possono sì intitolarsi " comunità di base ", ma è questa una designazione strettamente sociologica. Esse non potrebbero chiamarsi, senza abuso di linguaggio, comunità ecclesiali di base, anche se, rimanendo ostili alla gerarchia, hanno la pretesa di perseverare nell’unità della chiesa. Questa qualifica appartiene alle altre, a quelle che si radunano nella chiesa per far crescere la chiesa.

Queste ultime comunità saranno un luogo di evangelizzazione, a beneficio delle comunità più vaste, specialmente delle chiese particolari, e saranno una speranza per la chiesa universale, come abbiamo detto al termine del menzionato sinodo, nella misura in cui: - cercano il loro alimento nella parola di Dio e non si lasciano imprigionare dalla polarizzazione politica o dalle ideologie di moda, pronte sempre a sfruttare il loro immenso potenziale umano. - evitano la tentazione sempre minacciosa della contestazione sistematica e dello spirito ipercritico, col pretesto di autenticità e di spirito di collaborazione; - restano fermamente attaccate alla chiesa particolare, nella quale si inseriscono, e alla chiesa universale, evitando così il pericolo - purtroppo reale! - di isolarsi in se stesse, di credersi poi l’unica autentica chiesa di Cristo, e quindi di anatematizzare le altre comunità ecclesiali; - conservano una sincera comunione con i pastori che il Signore dà alla sua chiesa e col magistero, che lo Spirito del Cristo ha loro affidato; - non si considerano giammai come l’unico destinatario o l’unico artefice di evangelizzazione (anche l’unico depositario del vangelo) ma, consapevoli che la chiesa è molto più vasta e diversificata, accettano che questa chiesa si incarni anche in modi diversi da quelli, che avvengono in esse; - crescono ogni giorno in consapevolezza, zelo, impegno, e irradiazione missionari; - si mostrano in tutto universalistiche e non mai settarie.

Alle suddette condizioni, certamente esigenti ma esaltanti, le comunità ecclesiali di base corrisponderanno alla loro fondamentale vocazione: ascoltatrici del vangelo, che è ad esse annunziato, e destinatarie privilegiate dell’evangelizzazione, diverranno senza indugio annunciatrici del vangelo.