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La poesia gnomica è un genere poetico che vuole proporre delle sentenze è caratterizzata dalla brevità, in alcuni componimenti è infatti di due versi.

Si propone, con la sua ricchezza di massime e di precetti,  di risvegliare la coscienza morale del lettore, di metterlo in guardia da alcuni comportamenti che potrebbero portarlo ad una vita non onesta.

I versi, nella maggior parte dei casi, sono semplici e chiari e si capisce immediatamente il significato.

Il massimo esponente di questo genere è Teognide il quale  nacque probabilmente a Megara Nisea, nel Peloponneso, tra il VI secolo a.C. ed il V secolo a.C. da famiglia aristocratica

 Teognide, è infatti il maggiore esponente dell’elegia gnomica.

Visse in un periodo difficile per l’aristocrazia terriera di cui faceva parte ed a causa dei contrasti con il demos emergente, perse tutto e dovette andare in esilio. Al suo ritorno, sperò in una restaurazione della democrazia, ma ciò non avvenne.


Le sue opere poiché furono utilizzate per l’educazione dei giovani, vennero mischiate con altre opere di altri autori (Mimnermo, Solone etc.) per fini didattici. 

Presso gli antichi godé fama di essere il migliore tra i poeti elegiaci, a tal punto che ogni produzione gnomica e sentenziosa di tal genere, qualora fosse di autore incerto, veniva attribuita a Teognide.

Nonostante il tentativo di distinguere le opere originali dalle altre, ancora oggi, è aperta la cosiddetta "Questione Teognidea.".

 Lo stesso Teognide afferma in alcuni frammenti, che le sue opere avrebbero un sigillo (σφαγγις) identificativo. Tuttavia ancora oggi, non si è capito come riconoscerlo; può essere lo stesso suo nome o la forma di invocazione a Cirno, con la quale iniziano molte delle sue opere.

 Duesono i libri, di cui è sicura la sua paternità:


- Il primo libro: ha carattere gnomico e qui Teognide si accinge al suo intento pedagogico nei confronti di Cirno Polipaide, un giovane che amava, dove parla dell’amicizia, di politica, confessandosi al ragazzo e raccontando esperienze come l’esilio.


- Il secondo libro: Molto più breve del primo, qui Teognide canta l’eros efebico e il suo amore per Cirno, il quale però non viene citato.

Teognide comunque, forse a causa delle sue esperienze, disprezzò sempre la plebe, che a suo parere gli aveva rovinato la vita. Nella sua poesia, nonostante i pensieri pessimistici sulla casualità dell’esistenza umana, si abbandona anche a commenti sarcastici e pungenti sui suoi avversari.


[Modificato da ariadipoesia 04/09/2008 16:35]
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