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Le Janare

Ultimo Aggiornamento: 21/10/2004 11:09
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21/10/2004 11:09
 
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Nel dialetto beneventano non esiste la strega, ma la janara. E' con tale nome infatti che si indica una donna, che possiede poteri magici, conosce le virtù delle erbe, pratica alcune operazioni mediche.

La figura della janara appartiene al patrimonio folclorico, la strega invece è una figura letteraria, confezionata già in età classica, ma soprattutto moderna, con caratteristiche andate via via perfezionandosi e configurate in un repertorio ben consolidato, grazie agli scritti di esponenti della cultura clericale dal Medioevo in poi, i quali, attraverso un lungo processo, ne selezionarono gli aspetti discriminanti, utilizzando materiale della provenienza più varia: racconti popolari; superstizioni locali; mitologia classica, ebraica, nordica; inchieste giudiziarie, verbali di processi, fino alla codificazione, sistematica ed accreditata dall’autorevolezza degli scrittori, della figura della strega secondo una tipologia precisa.
La janara è una figura della tradizione popolare. Come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe, ma sa scatenare tempeste. Nella coscienza popolare non si associa la janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma solo magiche, come l’Uria , la Manalonga, le Fate. Appartiene cioè ad un universo estraneo a quello umano e per questo temibile ed incomprensibile come tutto ciò che è diverso.

È capace di nuocere agli umani, ma non ha i legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un’eretica, al pari dei seguaci di altre religioni.

Origini del nome janara


L’etimologia proposta per il termine popolare janara metteva in connessione tale nome con il latino ianua = porta, in quanto essa è insidiatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute). Per Piperno, l’origine del nome deriva dal fatto che le streghe per aerem nare sentiantur dum feruntur ad ludos oppure dal fatto che il nome di una delle Lamie del tartaro era Duchessa Iana[1]

Janara è il termine comune nella provincia di Benevento per indicare la strega e lo si trova anche nella variante ghianara.
La semiconsonante iniziale è l’evoluzione naturale del nesso latino \di\, come nel caso di diurnum Þ juorno. Pertanto il termine non viene da ianua, in cui la \i\ evolverebbe in \g\ (cfr. Ianuarius Þ Gennaro), ma da dianaria o dianiana, aggettivo derivato da Diana , equivalente a “seguace di Diana”. L’antichissima divinità italica, dea federale dei Sanniti e protettrice della plebs romana, è chiamata da Cicerone dea della caccia, della luna e degli incantesimi notturni (Cic. De nat. deor., 2, 68, sgg.).

Orazio parla dei tria virginis ora Dianae (i tre volti della vergine Diana ) o di Diana triformis (Diana triforme, cfr. Hor, Car., 3, 22, 4)

Virgilio conferma tale aspetto quando parla della dea che è Luna in cielo, Diana in terra, Ecate nel mondo infernale (Verg., Aen., 4, 511.b)

“Gioco di Diana ” è definito, in molti testi, il corteo di streghe , stregoni e spiriti infernali di cui si aveva notizia attraverso le deposizioni delle imputate di stregoneria. Altro nome di esso è sabba ”, forse da Sabazio, o Bacco, in onore del quale si celebravano riti orgiastici. Infatti anche nel consesso stregonesco vi era una forte componente sessuale. Diana è chiamata nei processi “Signora del gioco”, dove “gioco” traduce il latino ludus, nel significato di “luogo dove s’impara” o anche di “passatempo dilettevole”, visto che in queste riunioni si ballava e si cantava.





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[1] Pipernp, Pietro, Della superstitiosa noce di Benevento, Gaffaro ed., Napoli, 164°, rist.anast. Forni, 1984, p.77, “si vedono nuotare nell’aria, mentre sono trasportate ai convegni”.





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